Salone Nautico di Genova

Salone Nautico di Genova

Un anno senza saloni nautici: ne parla Paolo Ilariuzzi, Suzuki Marine

Editoriale

01/04/2021 - 18:39

Tranne l’eccezione del Salone Nautico di Genova e del Ft Lauderdale Boat Show che l’ha seguito poco dopo, entrambi sfuggiti alla falcidia della pandemia, il mondo della yachting industry ha vissuto più di un anno senza le grandi kermesse. Le ultime di rilievo svoltesi con regolarità, infatti, risalgono giustappunto a inizio 2020, quando a fine gennaio andò in scena il boot di Dusseldorf e quindi il Miami International Boat Show. Poi, è stato un susseguirsi di cancellazioni oppure rinvii, praticamente in ogni parte del mondo, fino ad arrivare a giovedì scorso quando si è aperto il Palm Beach Boat Show, conclusosi ieri.

Ancora una volta va sottolineata la grande prova della nautica italiana e della propria associazione di riferimento, Confindustria Nautica, che anche grazie a una ritrovata unità, ha avuto la forza di affrontare e vincere la difficile sfida di riuscire a organizzare lo scorso ottobre l’edizione numero 60 del Salone Nautico, in un momento storicamente così delicato: non solo è stato fatto ma, lo rimarchiamo proprio in virtù dei tempi, è stata anche una buona edizione.

Fatta salva l’eccezione, la regola dei saloni nautici, però, è stata un’altra: il 2020 si è dimostrato, ancora una volta di più, un anno capace di rivoluzionare tutto, togliendo al nostro settore quelli che tutti noi abbiamo sempre considerato dei momenti imprescindibili, determinanti per la vita dei cantieri, dei motoristi, dei produttori di accessori, di tutta la filiera che sta dietro alle barche, di chi offre servizi agli yacht e ai loro ospiti…

Ai saloni nautici gli armatori arrivano a frotte, per vedere i nuovi modelli, fare confronti, prendere contatto con i cantieri e, perché no, anche firmare contratti. Proprio per l’assenza di questi momenti, in molti prevedevano un 2020 difficile dal punto di vista del business e invece, pur attendendo dei numeri ufficiali a conferma, pare che quello conclusosi il 31 dicembre sia stato un ottimo anno, che verrà ricordato negli annali della yacht industry: i cantieri nautici hanno continuato a vendere, in molti casi dando fondo agli stock che si trascinavano dalle stagioni precedenti, e il mercato dell’usato è andato a gonfie vele, tanto che di barche di seconda mano “buone” sembra ne siano rimaste pochissime in circolazione.

Come si spiega? I saloni nautici alla fine a cosa servono? Vuol dire che i boat show virtuali messi in piedi in fretta e in furia da diversi media e operatori del brokerage, sono stati così efficaci da non far sentire la mancanza di quelli reali? Oppure che i “porte aperte”, gli eventi che ogni marchio ha organizzato per far vedere gamma e novità alla propria clientela, sono state delle operazioni sufficienti a tenere viva l’attenzione sul prodotto? Quali altre forme di marketing sono state utilizzate per generare la voglia di barca? Insomma, le domande che in tanti si sono posti di fronte a una situazione così straordinaria, sono state molte. Sicuramente il messaggio che anche tutti noi dei media abbiamo contribuito a far circolare, cioè della propria barca come posto “safe” dove trascorrere tempo libero e vacanze con la propria famiglia o i propri amici, ha avuto effetto: la barca come una propria isola sicura è un concetto che certamente in questo momento ha grande appeal anche su chi non ne ha mai posseduta una. Ma giustifica l’andamento del mercato oppure sono altre le motivazioni?

Per dare risposta a queste domande, abbiamo pensato di chiedere aiuto agli addetti ai lavori, ai manager di aziende che operano nella nautica produttiva, specificamente nel marketing e nell’ambito commerciale, più direttamente coinvolti nell’argomento.

A partire da oggi, dunque, pubblichiamo le loro opinioni partendo da quella di Paolo Ilariuzzi, direttore della divisione Moto e Marine di Suzuki, con la responsabilità dei settori commerciali, marketing, PR e post-vendita.

Fabio Petrone

PAOLO ILARIUZZI

Il business della nautica è da sempre molto legato a schemi che non sono variati nel corso degli ultimi 50 anni. Si diceva ”il cliente non compra se non vede la barca, se non tocca con mano il motore, se non entra in showroom, se non fa la prova a mare…“ Questi sono i pilastri che hanno sorretto le convinzioni degli addetti ai lavori negli ultimi decenni e, mai come quest’anno, queste certezze sono crollate. Quindi non erano vere? Quindi erano più che altro meccanismi pensati da chi vendeva più che da chi comprava?

In parte sì in quanto noi addetti ai lavori siamo portati a pensare di poter decidere quale deve essere il cosiddetto “customer’s journey” ossia il processo di acquisto del cliente. Uscire dagli schemi, proporre qualcosa di nuovo, di diverso rispetto ai propri competitor; spesso l’innovazione offre delle opportunità uniche, intercetta i desideri dei clienti quando la concorrenza è distratta.

In parte no, in quanto è innegabile che la stagione 2020 sarà probabilmente irripetibile sotto tanti aspetti. Si sono vendute barche e motori al telefono, via email, attraverso videochiamate di WhatsApp. Chi avrebbe scommesso su questo nel 2019?

Il punto è che quando torneremo a condurre una vita normale, con possibilità di spostarci e di fare i saloni nautici, certamente il cliente desidererà nuovamente prendere contatto con l’imbarcazione che desidera acquistare, probabilmente chiederà di poter provarla prima di acquistarla e certamente visiterà lo showroom del concessionario. Tuttavia è importante non dimenticare quanto successo quest’anno e fare tesoro dei cambiamenti delle abitudini dei nostri clienti. Offrire loro servizi esclusivi e occasioni di contatto, ed esperienze legate al brand, permetterà di distinguerci all’interno del mercato nautico, attraendo nuovi potenziali clienti che desiderano continuare a vivere la bellezza dell’andar per mare lungo le coste del nostro meraviglioso Paese.

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