Marina degli Aregai, Gruppo Cozzi Parodi

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Concessioni demaniali: il punto con l'Avv. Cristina Pozzi

Portualità

25/04/2020 - 12:18

La sorte delle concessioni demaniali marittime resta, a oggi, uno dei temi più discussi, sia a livello politico che nella più recente giurisprudenza. Il tema coinvolge molti aspetti e tipologie di concessioni, poiché sul demanio marittimo insistono porti turistici, imprese balneari, strutture dedicate alla nautica da diporto ed edilizia residenziale.

Accanto alla disciplina generale dettata dal Codice della navigazione, le concessioni demaniali marittime sono state oggetto di numerosi interventi normativi specialistici che si sono susseguiti nel tempo, stratificando anche le competenze amministrative sulle stesse, in capo a Stato, Regioni, Comuni, Agenzia del demanio, facendo emergere anche una serie di criticità in tema di canoni, di durata delle concessioni, di valore degli investimenti.

Accanto allo sviluppo normativo del settore, si è assistito a un mutamento significativo della tipologia di concessionari, che sono passati, nel tempo, da semplici gestori del bene a imprese autonome con articolate e complesse attività, che sul demanio si limitano oggi a insistere, in un quadro commerciale e sociale del tutto differente dalla originaria visione codicistica.

Ne deriva, quindi, un quadro composito e, per molti aspetti, bisognoso di una effettiva modernizzazione, probabilmente più efficiente se si trattasse di una riforma complessiva della parte marittima del Codice della navigazione, al pari di quanto accaduto, anni or sono, per la parte aeronautica dello stesso.

Analizziamo, di seguito, tutte le realtà che insistono sul demanio marittimo, per individuare lo stato dell’arte, normativo ed economico, e le possibili evoluzioni legislative del settore, partendo, per stringente attualità, dal settore balneare.

Come noto le concessioni “balneari” - definizione che deriva dalla prassi non essendovene in normativa - sono state, e sono ancora oggi, oggetto di una vicenda che muove la propria origine dalla abrogazione del secondo comma dell’art. 37 del Codice della navigazione, che disciplinava il così detto diritto di insistenza, ovvero il diritto del concessionario a essere preferito nella riassegnazione della concessione a terzi a pari condizioni, nell’interesse e con la finalità del migliore e più proficuo utilizzo del demanio marittimo (e, per precisione, con una forma di pubblicità comparativa prevista dall’art. 18 del Regolamento di esecuzione del Codice stesso).

La disciplina fu oggetto, nel 2008, di una procedura di infrazione comunitaria, ritenendo la Commissione europea che il sistema appena descritto contrastasse con il principi della libertà di stabilimento e con la Direttiva 123/2006, conosciuta come Bolkestein, poiché sottraeva i beni demaniali al libero gioco della concorrenza, riservandoli, di fatto, al medesimo soggetto.

L’abrogazione del secondo comma dell’art. 37 - che fu la scelta del legislatore per ottenere l’archiviazione della procedura di infrazione -  lungi dal risolvere la situazione, l’ha, anzi, del tutto cristallizzata, poiché ha aperto un vuoto normativo, che non è stato colmato sino a tempi recentissimi, costringendo i governi che si sono succeduti ad una serie di proroghe automatiche del termine delle concessioni all’epoca esistenti, a tutela del legittimo affidamento degli allora concessionari, in attesa della emanazione di una disciplina conforme al diritto europeo.

Nel 2016 vi fu, poi, l’intervento della Corte di Giustizia (Sentenza Promoimpresa), che si pronunciò in relazione al rinnovo di una concessione insistente sul lago di Como, affermando che le proroghe effettivamente automatiche e generalizzate sarebbero contrarie al diritto europeo e che occorrerebbero procedure di evidenza pubblica o di effettiva comparazione tra i concorrenti.

La stessa sentenza, tuttavia, aveva ben precisato, con una serie di distinguo, i limiti della questione e gli elementi da prendere in considerazione nelle singole valutazioni, ossia: la tutela del concessionario uscente e degli investimenti da lui effettuati, conformemente peraltro alle Comunicazioni della Commissione in materia; la necessità di effettuare valutazioni caso per caso; la rilevanza e necessità di valutare il valore economico della concessione e la sua effettiva valenza transfrontaliera ai fini della applicazione della direttiva.

La sentenza, in sostanza, offriva una serie di considerazioni composite, precisando molto bene che il caso sottoposto presentava una serie di elementi particolari (collocazione geografica della concessione, tra i molti) e poteva essere deciso nei limiti, comunque, di quanto contenuto nel rinvio opera-to dal Giudice nazionale.

A seguito della sentenza, si sono susseguiti sia interventi legislativi di proroga che giurisdizionali, che hanno reso la situazione ancor più nebulosa ed incerta, giungendo di fatto alla definizione del 31 dicembre 2020 quale termine per la durata delle concessioni esistenti.

Nel 2018, con la legge di bilancio (legge 145/2018), è stata operata una nuova riforma,  che ha inciso in modo differente sul regime esistente, estendendo la durata di una serie di concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo sino al 2033, ma, questa volta, non con una proroga automatica ma con una estensione del termine nelle more della realizzazione di una più complessiva e doverosa riforma, costituita da più fasi.

La revisione prevedeva varie attività ed in particolare; una ricognizione e mappatura del litorale e del demanio costiero marittimo, funzionale ad avere contezza effettiva delle risorse naturali disponibili e suscettibili di sfruttamento economico; l’istituzione di un sistema di qualificazione, con tenuta di un Elenco a livello nazionale, degli operatori economici interessati alla partecipazione alle procedure di evidenza pubblica di affidamento delle concessioni; l’assoggettamento a revisione periodica quinquennale della posizione degli operatori iscritti all’Elenco;  l’individuazione di nuovi modelli di gestione delle imprese che operano sul demanio marittimo secondo forme di paternariato pubblico-privato; la definizione di precisi e puntuali obblighi in capo ai titolari di concessione, tra i quali: la tutela e riqualificazione ambientale, l’ecocompatibilità delle strutture, la valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio, l’accessibilità agli utenti, la vigilanza e sicurezza della balneazione e delle spiagge; una consultazione pubblica sull’andamento del nuovo modello di gestione, al fine di individuare ulteriori esigenze di correzioni e interventi.

La giurisprudenza che si è susseguita nei mesi successivi è stata invero piuttosto copiosa.

Per dare uno sguardo generale alle pronunce dell’ultimo anno, si leggono posizioni molto diverse sia dei Tar in primo grado che del Consiglio di Stato: la giurisprudenza amministrativa, infatti, ha dapprima assentito all’estensione (sia il Tar che il Consiglio di Stato con sette sentenze identiche non hanno disapplicato l’estensione al 2033) mentre una recentissima sentenza, sempre del Consiglio di Stato, ha preso una posizione diversa, e pur non annullando gli atti del Comune di Santa Margherita oggetto del contenzioso (poiché tecnicamente non era una azione di annullamento) ha affermato che, ove il Collegio fosse chiamato a decidere sulla estensione riba-direbbe che una proroga generalizzata è contraria al diritto europeo, richiamando proprio la sentenza della Corte di Giustizia del 2016.

Anche l’attuazione del disposto della legge di bilancio non pare avere avuto una costante applica-zione, ma potremmo dire è stata per lo più applicata, atteso che molte Regioni, e molti Comuni, hanno esteso attraverso la così detta “bollinatura” la durata delle concessioni esistenti al 2033, mentre alcuni enti hanno avuto posizioni più attendiste.

Da tutta la situazione descritta, che come si evince ha ancora profili di incertezza, possiamo trarre alcune riflessioni, anche di prospettiva legislativa.

Vi sono e restano numerosi dubbi circa tutto il complesso della vicenda: se le concessioni demaniali a uso turistico-ricreativo ricadano nel campo di applicazione della direttiva o meno, anche atteso il mutamento della tipologia di concessionario; se sia stata correttamente colta la differenza tra l’occupazione del bene demaniale e le autorizzazioni amministrative successive ed autonome che il concessionario deve ottenere per svolgere le proprie attività; se sia rilevante e in che misura il tema della erosione demaniale, che certamente impatta sui doveri del concessionario, così come sui suoi investimenti e, per certi versi, sulla programmazione anche territoriale degli enti competenti; se sia possibile individuare - ma si tornerà sotto sul tema atteso che è tra i più rilevanti - il valore dell’eventuale indennizzo dovuto al concessionario uscente ed i corretti parametri di individuazione dello stesso; se debba essere effettuata una più adeguata comparazione - anche in un’ottica di libera concorrenza - con la disciplina degli Stati membri che hanno un rivelante mercato balneare, atteso che molti di questi hanno regimi con durate delle concessioni assai più ampi; se il mercato interno italiano non sia già effettivamente aperto, atteso che molte concessioni sono già state assegnate con procedure di evidenza pubblica e molte aree sono libere, fermo restando che, allo stato, non esiste una fotografia accurata del mercato; se l’interesse pubblico degli enti territoriali alla migliore e più proficua utilizzazione del più importante bene insistente non possa impattare sul regime concorrenziale; se e come possa essere tutelato il tessuto imprenditoriale che costituisce per il mercato interno un valore indefettibile; se sia compatibile con il diritto europeo una riforma come quella avviata nel 2018, che, lo si ribadisce, potrebbe essere ancor più efficace se estesa a tutto il demanio marittimo.

Per una riflessione ancora più accurata, resta attuale, e per certi versi preponderante, la definizione del valore dell’impresa balenare, per come si è sviluppata negli anni, soggetto che ha perso in moltissimi casi il carattere di microimpresa, e la cui valutazione, oggi, non può prescindere né dagli in-vestimenti effettuati (non solo a tutela del demanio marittimo) né dall’intrinseco valore sviluppato anche in termini di organizzazione, marchio e proprietà industriale.

Sul punto è opportuno ricordare come esista un progetto di norma UNI1602950 proprio con lo scopo di fornire i metodi e la procedura per la stima del valore di mercato di una impresa balneare. 

Del tema, specificamente, si è occupato Piero Bellandi, Professore di economia ed esperto del settore balneare, che ha affermato che “Si tratta di una norma che non modifica nulla ma che innova. Prima di questo lavoro non esistevano altri testi specifici per la valutazione delle imprese marittime che insistono sul demanio pubblico. Tale norma contiene tre fasi: la definizione dell’ambito di riferimento, le metodologie di valutazione e la prassi comportamentale del valutatore”.

Il tema, dunque, ferma restando la riforma in corso, ha ancora molti aspetti da valutare, fermo restando che un approccio puntuale anche nel drafting legislativo non può più prescindere dall’inquadramento anche economico del tema, nella considerazione attuale del tessuto imprenditoriale, non trattandosi di una mera attualizzazione di una norma ma del necessario contemperamento di esigenze normative, concorrenziali, imprenditoriali e di tutela del mare.

Cristina Pozzi

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