Bavaria fallimento

Bavaria fallimento

Il fallimento Bavaria Yachts e i danni dei fondi d'investimento.

Editoriale

26/04/2018 - 16:01

Bavaria Yachtbau fallisce. La notizia arrivata venerdì 20 è stata una di quelle che lasciano increduli, soprattutto alla luce del successo dei nuovi modelli, sia a vela che a motore con tanti ordini in portafoglio, dell'acquisizione dei catamarani Nautitech e del protagonismo scintillante in occasione del recente Boot di Dusseldorf (l'addio di Marcus Schlichting, lo storico responsabile del marketing e comunicazione, poco prima della kermesse va oggi letto sotto un'altra luce). 

Per ora si sa che il CEO Lutz Henkel, artefice del rinnovamento della gamma sia vela che motore, è stato licenziato e oggi, lunedì 23 aprile, il tribunale di Würzburg competente per la località di Giebelstadt si è pronunciato con procedura d'urgenza: con riferimento alla legge tedesca ha dichiarato aperta la procedura di amministrazione controllata. Questo significa che i 600 impiegati e i mananager restano al loro posto per continuare la produzione e soddisfare innanzitutto gli ordini già firmati. Nel caso di Bavaria, la liquidità disponibile è quella delle caparre, presumibilmente insufficiente a finanziare l'intera attività fino alla consegna, anche volendo considerare nuovi pagamenti ad avanzamento lavori, ma la procedura consente di rinegoziare modi e tempi di pagamento delle forniture.

Ma cosa ha causato questo fulmine a ciel sereno? I fondi americani che posseggono il cantiere avrebbero deciso di chiudere i rubinetti perché i debiti in essere non garantiscono redditività a breve termine. Una manovra simile a quella di Oyster Yachts, che ha annunciato il fallimento all'indomani del Boot 2018 pur avendo molti ordini in portafoglio. Di certo il cantiere inglese sconta la vicenda del Polina Star, l' 82 piedi affondato a causa di un difetto costruttivo che il cantiere ha cercato in tutti i modi di nascondere addossando le colpe al comandante (italiano) fino a dover ammettere le proprie responsabilità.

Ai debiti accumulati (riteniamo anche e soprattutto dalle passate gestioni, si parla di oltre 1 miliardo di Euro) sono confermate le voci di un allungamento dei tempi di costruzione delle nuove barche a motore e del C57 a vela, a causa della nuova linea di produzione approntata in ritardo, ritardi che pare siano in via di soluzione. Per quanto riguarda il C45 e il C50 che hanno ottenuto un grande successo di ordinativi,  i tempi di costruzione e consegna sono invece confermati, mentre c'è un pesante magazzino di invenduto dei vecchi modelli, che ormai nessuno più vuole. Notizia positiva è che Nautitech, oggi Bavaria Catamarans, non rientra nel fallimento e la sua (s)vendita potrebbe fornire l'ossigeno sufficiente prima di trovare un nuovo investitore. 

Il punto sta proprio nel soggetto investitore: i fondi d'investimento continuano a fare danni nel settore della nautica.

Bavaria, come tanti altri cantieri è posseduto da una o più società che hanno pensato di poter ottenere buoni surplus applicando le loro teorie di gestione aziendale anche al nostro settore. Ma è ormai chiaro che queste teorie, almeno nella nautica, non funzionano, che non è sufficiente razionalizzare l'organizzazione aziendale (i cantieri hanno spesso un approccio artigianale seppur dimensionato alle grandi dimensioni del manufatto) per ottenere ampi margini di guadagno, come pensano i soloni dei fondi d'investimento. Questo è un mercato molto particolare, le barche non sono biscotti e nemmeno automobili. Vogliamo ricordare le vicende del Cantiere del Pardo e Dufour? Sono state mandate al fallimento dal fondo che le possedeva e salvate rispettivamente da una famiglia imprenditrice (al netto di alcune notizie circolate recentemente sul gruppo industriale che fa capo a questa famiglia) e da un manager (italiano) in associazione con le istituzioni locali francesi, interessate alla salvaguardia dell'occupazione e del suo indotto. Come non pensare poi al fondo italiano che aveva acquisito in pompa magna il cantiere Franchini, promettendo un futuro da griffe del lusso Made in Italy e facendo invece chiudere una realtà piccola ma produttiva?

La speranza è che questo genere di investitori speculativi si renda conto che nella nautica contano di più la conoscenza specifica, l'esperienza e la passione rispetto agli schemi appresi in qualche master in business administration. Non è tra l'altro da escludere che la mossa del fallimento sia stata architettata per ripulire dai debiti il cantiere e rivendere il marchio, magari in un futuro anteriore. Cercheremo di tenervi aggiornati sull'evoluzione della vicenda Bavaria, augurandoci un lieto fine per salvaguardare l'intera filiera produttiva e i clienti.

Giuliano Luzzatto
@gluzzatto

 

Per dovere di cronaca riportiamo il comunicato stampa ufficiale Bavaria, rilasciato a seguito anche del nostro articolo

https://www.pressmare.it/it/cantieri/bavaria-yachts/2018-04-25/bavaria-in-auto-amministrazione-controllata-volontaria-13619

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