Barca incidentata

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Nautica, Fase 2: danni alle unità da diporto, responsabilità

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06/05/2020 - 00:17

La cosiddetta “Fase 2”, quella della convivenza con il virus, ormai è alle porte, seppur con stop and go ancora incerti e non omogenei per il territorio nazionale. Il settore nautico, purtroppo, è risultato il grande assente dei provvedimenti normativi che, probabilmente, sono supportati dall’idea, sbagliata, che di mare si debba parlare solo in estate.

Come si sa, non è così!

L’impegno, il lavoro e il tempo da dedicare, per avere la propria barca pronta per la navigazione, non sono certo questioni che si possano sbrigare, repentinamente, in pochi giorni.

Ed è da qui che nasce la grande preoccupazione degli armatori che forse, dopo settimane, potranno verificare lo stato della propria imbarcazione o le condizioni del proprio natante.

Ed è da qui che i dubbi si coagulano attorno al quesito: “Se dovessi trovare dei danni alla mia barca, troverò anche un responsabile che possa risarcirmi?”.

In questa sede non riaffronteremo il discorso dell’unità rimessata in un cantiere - articolo La vigilanza delle unità da diporto rimessate nei cantieri - ma ci limiteremo a esaminare il caso di una barca ancora in acqua presso una marina.

Primo dato da cui partire è che, quando si sottoscrive un contratto/prenotazione di ormeggio, si deve porre attenzione, oltre che al prezzo e alla durata anche alla clausola, quasi sempre presente, che prevede l’adesione integrale delle disposizioni contenute nel regolamento.

Ogni marina ha il proprio regolamento che, una volta accettato, diventa il timone che governa la gestione dei rapporti tra le parti.

Se si cerca su internet è facile trovare degli esempi concreti. Il regolamento della Marina di Capri, all’art. 8, è chiarissimo in materia di limiti di responsabilità, così come quello della Marina di Portofino all’art 12 e di Porto Cervo all’art. 3.11 per quanto concerne l’obbligatorietà della assicurazione.

Rispettate tutte le condizioni anzidette e quelle di carattere generale, autore del risarcimento non potrà, quindi, essere la marina. Ma responsabile non potrà essere neanche lo Stato (inteso nelle sue varie articolazioni).

Ci troviamo davanti al classico caso di “anomia”: assenza di una disciplina giuridica che stabilisca come gestire situazioni in cui chi avrebbe dovuto vigilare e curare il proprio bene, nel mentre danneggiatosi, non ha potuto farlo per un impedimento/divieto di carattere normativo.

Urge, pertanto, anche sotto questo aspetto, un intervento pubblico che ammortizzi gli effetti economici negativi dell’epidemia e prenda atto che le unità da diporto (e non solo quelle) sono, anche, beni strumentali di un’attività che non può sopportare, per la peculiarità del suo settore, danni maggiori rispetto ad altri comparti imprenditoriali.

Diversamente, lasciando inalterato il panorama normativo, il soggetto leso dovrà assorbire la perdita finanziaria per far riparare, ove possibile, il proprio bene.

Avv. Claudio Manca

Studio Legale Manca

 

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