Palm Beach GT50

Palm Beach GT50

Mark Richards: i miei Palm Beach, leggeri, attenti all'ambiente

Barca a motore

11/09/2019 - 18:00

Mark Richards può essere considerato uno dei velisti più preparati e conosciuti al mondo, grazie a una carriera sportiva di assoluto rilievo che, oltre a due partecipazioni all’America’s Cup, lo ha portato a vincere regate particolarmente impegnative come l’Admiral’s Cup, il circuito World Match Racing, diverse edizioni della Rolex Sydney to Hobart e della Sydney Gold Coast Race, compresa l’ultima, la Hamilton Island Race Week ecc..

Un percorso da agonista che gli ha dato la possibilità di impadronirsi, fino a diventare uno dei massimi esperti, di tutti gli aspetti costruttivi delle barche da regata, ambito dove la tecnologia viene utilizzata ai massimi livelli perché si tratta di scafi che per, competere contro il tempo, devono essere efficienti e performanti in ogni dettaglio, senza lasciare nulla al caso.

Forte di tale bagaglio, da oltre 20 anni, accanto alla sua attività di velista professionista, ha intrapreso anche quella di costruttore d’imbarcazioni, dapprima a vela e poi a motore, trovandosi oggi al timone di Grand Banks - iconico marchio legato alla storia dei trawler, tipologia che interpreta il concetto di barca/casa, in origine derivati dalle barche da pesca – e di Palm Beach, un marchio più giovane ma che sta acquisendo sempre più fama grazie a una linea d’imbarcazioni capaci d’interpretare lo stile classico delle lobster boat – altre barche nate da pesca – tipico della tradizione down east americana, in un’accezione decisamente hi-tech e dunque performante.

PressMare - Mark Richards quale strada deve intraprendere il settore produttivo dei motoryacht per proporre al mercato scafi che impattino meno sull’ambiente?

Mark Richards - Fino a poco tempo fa nella mente degli armatori era ben saldo il concetto che la qualità di una barca si misurasse dallo spessore della sua carena, da quanta fibra di vetro e resina ci si mettesse dentro per renderla robusta e quindi affidabile e durevole. Ancora oggi, specie in America, ci sono cantieri che propongono motoryacht di 60-65 piedi che per arrivare a 40 nodi di velocità impegnano potenze mostruose, anche 4.000 HP, proprio perché hanno pesi colossali. Oggi la tecnologia ci dà modo di produrre barche che hanno scafi meccanicamente ben più resistenti di quelli monolitici in vetroresina ma anche straordinariamente più leggeri e che, quindi, hanno necessità di potenze notevolmente inferiori per arrivare alle stesse prestazioni e andare anche oltre. In questo senso le nostre Palm Beach, barche molto performanti, sono un esempio di robustezza e leggerezza. Per costruirle nei nostri scafi c’è tanta fibra di carbonio, che ha proprietà meccaniche superiori rispetto alla fibra di vetro, ed è molto più leggera. La utilizziamo con la tecnologia del pre-preg, la stessa delle barche a vela da regata, cioè pre-impregnando di resina vinilestere i tessuti che poi sono trattati col metodo dell’infusione ovvero racchiusi in un sacco che portiamo sottovuoto. In questo modo siamo certi che la resina venga distribuita uniformemente su tutto il manufatto, rendendolo robustissimo e togliendo al contempo col sottovuoto tutta quella in eccesso e che appesantirebbe inutilmente lo scafo. Questo spiega come mai un nostro motoryacht fly di 70 piedi riesce a raggiungere 38 nodi utilizzando solo 2.000 cavalli, abbattendo drasticamente i consumi e l’emissione di CO2.

PM - Anche per la realizzazione degli interni utilizzate tecnologie particolari mutuate dalla vela?

MR - Tutto il progetto Palm Beach ha come focus tecnico l’efficienza, quella delle linee d’acqua e quella del contenimento dei pesi, esattamente come per le barche da competizione. Per gli interni abbiamo adottato una soluzione che oltre a farci risparmiare peso, rende la barca ancora più resistente e meno soggetta a scricchiolii o vibrazioni durante la navigazione. Tutte le paratie interne e il mobilio fisso sono realizzati per essere uniti strutturalmente a scafo e coperta, come fossero un telaio di rinforzo che rende l’insieme solidale, con una rigidità torsionale superiore e meno pesante per contenere ulteriormente il dislocamento degli scafi.

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