La tomba Carlo Acefalo sull’isolotto di Bar Moussa Kebir, Sudan

La tomba Carlo Acefalo sull’isolotto di Bar Moussa Kebir, Sudan

Tornando a casa: la storia del Sottocapo Silurista Carlo Acefalo

Storia e Cultura

17/10/2018 - 17:06

Partiamo dalla cronaca a lieto fine per raccontarvi questa storia, quella di un marinaio, uno dei primi a morire per la Patria durante la Seconda Guerra Mondiale. Proprio in questi giorni, infatti, la salma del Sottocapo Silurista Carlo Acefalo, perito in Sudan il 15 giugno del 1940, è finalmente rientrata in Italia. Un atto dovuto per il quale, però, si è dovuto attendere 78 anni, tanti, troppi, nonostante la storia del marinaio Acefalo fosse nota alle Istituzioni e alla Marina Militare. Una vicenda che ha avuto il giusto epilogo grazie all’intervento determinante di Ricardo Preve, documentarista, produttore e regista italo-argentino. Lo avevamo incontrato qualche settimana fa durante il Salone Nautico di Genova.

Preve stava parlando con l’entusiasmo che gli è abituale, di un’idea scaturita da un viaggio di lavoro in Sudan, nel 2014, mentre con una sua troupe realizzava alcuni documentari subacquei. La sua innata curiosità era stata attratta dalla notizia appresa durante le riprese, che lì, sull’isolotto diBar Moussa Kebir, c’era probabilmente la salma di un marinaio italiano che nessuno si curava di cercare e riportare in patria. Era morto con l’affondamento del sommergibile Macallé (nome certo di non buon auspicio per i ricordi che suscitava) avvenuto appena agli inizi della partecipazione italiana alla sciagurata Guerra, non per colpa della Royal Navy ma per la mancanza a bordo di cartografia adeguata sulle rotte che voleva seguire.

Mentre cominciava il suo racconto, subito un interrogativo da porgli: perché si è lanciato in questa impresa?

Lapidaria la sua risposta: “prima di tutto perché non mi piacciono le ingiustizie”.

“La salma del sommergibilista era quella di un ragazzo nato a Monastero Vasco, Cuneo, nel 1916 - continua Preve - si chiamava Carlo Acefalo ed era figlio di un trovatello e di una contadina, mezzadra piemontese. Ricercarlo non faceva notizia. Essendo un povero e non un Savoia o il discendete di una famiglia famosa, quelle poche volte che qualcuno aveva cercato di recuperare il suo corpo non aveva trovato entusiasmi. Ci avevano provato i preti Bomboniani, che hanno una scuola a Porto Sudan, scrivendo invano sull’argomento all’Ambasciata italiana, che a suo tempo aveva declinato l’invito per scarsezza di fondi. Ci pensò Enzo Tortora parlandone nella trasmissione televisiva Portobello, dove aveva ospitato tutti i marinai sopravvissuti del sommergibile Macallé… Poi alla fine tutti, più o meno, hanno lasciato perdere. Così la madre di Carlo, che riposa aCastiglione Falletto nelle Langhe,morì senza avere la gioia di sapere che la salma di suo figlio è stata ritrovata.”

È la storia di un’ingiustizia, condividiamo, lontana nel tempo, lontana dalla ribalta, lei poteva anche fregarsene e invece?

“L’impeto è stato di riportare a casa un ragazzo senza santi in Paradiso (anche per questo era morto), per adempiere a un dovere di rispetto della patria per il soldato morto, ora che era possibile. Era una questione di giustizia, poi man mano che sono stato coinvolto nella realizzazione del progetto si è concretizzata in me l’idea di farne una produzione cinematografica. Sotto la spinta della passione ricercatore che c’è in me, è poi diventata l’inizio di un’avventura. Ho deciso per una seconda spedizione in Sudan, nell’ottobre 2017, e mi sono mobilitato, con tutto il gruppo dei miei collaboratori, anche scientifici - oltre a trovarne il corpo che giaceva senza protezione nella sabbia da tanti decenni, bisognava identificarlo con certezza - per ottenere le necessarie informazioni militari dalle marine coinvolte, per individuare il punto esatto del triste evento, le sue ragioni, le problematiche e la sorte dell’equipaggio, la collaborazione di governi e associazioni competenti per l’autorizzazione al trasferimento in Italia, così alla fine ne è scaturita anche una storia di mare assai avvincente nella sua complessità.”

Ce la riassume?

“Molto Volentieri. Il sommergibile Macallé, lo stesso giorno della dichiarazione di guerra, il 10giugno 1940, aveva lasciato la sua base di Massaua per una missione di caccia al naviglio nemico, risalendo il Mar Rosso verso le acque di Porto Sudan. Tutto bene nei primi giorni di navigazione, poi improvvisamente gran parte dell’equipaggio aveva mostrato segni d’intossicazione, inizialmente attribuiti a cibo avariato, poi riconosciuti come conseguenza di una perdita di gas cloruro di metano dall’impianto di refrigerazione aria di bordo. L’effetto di questo gas è devastante, dà allucinazioni, anche segni di pazzia, la quasi totalità dell’equipaggio era inabile e poiché al peggio non c’è mai fine, questi poveretti che navigano con una cartografia italiana assai carente in mezzo a tante isolette e bassi fondali – ulteriore testimonianza sull’impreparazione dell’Italia a quella guerra - per le sfavorevoli condizioni meteo non possono controllare la posizione dell’unità in base all’altezza del sole. Quelli del Macalléche credono di navigare in acque abbastanza profonde finiscono invece improvvisamente incagliati su un basso fondale dell’isolotto diBar Moussa Kebir, a circa 65 miglia da Porto Sudan. L’equipaggio è in salvo,invece il sommergibile è vittima delle manovre fatte dal comandante per disincagliarlo, affonda su un fondale di 400 metri, dove tuttora si trova. Ferito nell’urto e intossicato, Acefalo è l’unico a perire. Accade il 17 giugno e viene sepolto sul posto, in una fossa nella sabbia. I sopravvissuti non hanno avuto il tempo, sembra, di avvertire il Comando a Massaua che è quindi ancora ignaro delle loro disavventure. I 47 membri dell’equipaggio però sono rimasti sull’isolotto al sole, senza acqua e cibo, a rischio di morte o cattura da parte degli inglesi. Per evitarlo, tre di essi, con un battellino di salvataggio, vogano verso l’Eritrea e riescono miracolosamente ad approdare al faro italiano di Taclai. Il Comando di Massaua invia subito un aereo che lancia generi di conforto sull’isolotto e spedisce il sommergibile Guglielmotti, che li recupera: il 22 giugno, appena in tempo per impedire la cattura da parte degli inglesi, che li avevano localizzati.

Come avete individuato nella sabbia la sepoltura di Acefalo?

Il punto generico dell’incaglio ci è stato indicato dai documenti conservati nell’Ufficio Storico della Marina, quanto ai locali, ormai nessuno nell’area ne aveva memoria. L’unica speranza era immergersi sul posto e sperare in qualche traccia. La madre di Carlo da lassù deve averci aiutato perché abbiamo trovato tracce dell’impatto e pochi resti delle sovrastrutture del Macallé; proprio là davanti, dopo tre giorni di ricerche in un caldo torrido c’era anche la sepoltura del sottocapo silurista Acefalo, identica alla descrizione fattane dai reduci del Macallé che l’avevano realizzata. Ma era necessaria una prova scientifica, l’esame delle spoglie. A confermarlo ho chiamato l’antropologo forense e perito penale italiano Prof. Matteo Borrini, della Liverpool John Moore’s University, esperto anche nel recupero e identificazione di resti umani che, assistito dal archeologo italiano Dott. Cosimo Giachetti, ha identificato le spoglie ed emesso una rapporto definitivo sull’autenticità dei resti umani trovati nella tomba esaminata. Infine, abbiamo messo le spoglie in una cassa coperta con una bandiera italiana, donata dall’Associazione Marinai d’Italia, uno dei patrocinatori dell’operazione, poi con la nave italiana “Don Questo” le abbiamo portate in Sudan, dove aspettano. Ora occorre riportarle in Italia, nel cimitero di casa, alla fine il più importante”.

Nella prima settimana di ottobre il Ministero della Difesa, Ufficio Onor Caduti, ha preso in consegna le spoglie e sta preparando, in collaborazione con la Marina Militare, la cerimonia di onoranze e la riconsegna alla famiglia, prevista nei prossimi mesi.

Concludendo, la storia della morte di Acefalo e del tentativo di riportarlo a casa fa parte del lungometraggio “Tornando a casa”, che è in parte docufilm ma in parte è anche fiction di quanto avvenuto in Mar Rosso e sull’isolotto di Bar Moussa Kebir. Il film, prodotto esecutivamente in Italia dalla Stuffilm, ha ricevuto il sostegno, per la fase dello sviluppo e della produzione, della Film Commission Torino Piemonte, nonché il patrocinio di numerosi comuni, fondazioni, associazioni italiane e anche argentine. Insomma, un successo che testimonia anche la simpatia che il regista italo-argentino ha raccolto attorno al suo lavoro .

E fino all’ultimo momento del nostro incontro Riccardo Preve ci chiede di ringraziare dalle nostre colonne il lavoro di tutti, scientifici e squadra di produzione, per l’impegno profuso nel portare avanti “Tornando a casa”, una produzione realizzata in condizioni spesso molto difficili, un lavoro di gruppo mirato a onorare la memoria di tutti i marinai che, percorrendo gli oceani del mondo sotto la bandiera italiana, hanno compiuto il loro dovere. “In particolare spero che questo documentario ravvicini tre paesi così distanti geograficamente come l’Argentina, il Sudan e l'Italia ma che, attraverso questa missione di ricerca, possano trovare in questa vicenda una storia in comune da raccontare alle future generazioni”.

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