Patente nautica

Patente nautica

Nautica anglosassone o latina? Nautica libera!

Editoriale

07/07/2018 - 19:24

Nel mondo esistono due filosofie pubbliche sulla responsabilità penali e civili. La prima, squisitamente latina, è quella che l’ente pubblico non solo ha una supervisione su tutto ciò che di illecito accade nello stato sovrano ma anche quella di prevenire eventuali comportamenti errati dei “sudditi”, il che obbliga ogni pubblico ufficiale a intervenire, per non incorrere nel reato di omissione di atti d’ufficio. L’altra invece, chiaramente anglosassone, del popolo contro il re, è che lo Stato interviene sempre quando si tratta di illeciti, ma per il resto è diritto del cittadino rimanere il più possibile libero nelle sue scelte, sopportandone poi le conseguenze civili e penali. Un esempio tipico lo troviamo proprio nella nautica inglese, dove non è obbligatorio avere alcuna patente per navigare per diporto né esiste alcuna legge che imponga dotazioni di sicurezza a bordo, oltre a quelle che indica la guardia costiera per il tipo di costruzione. Spesso sono le società d’assicurazione che, in situazioni particolari, per redigere un contratto pretendono il rispetto di clausole più efficaci di copertura. Sempre dalla nautica sappiamo che in Inghilterra, se durante una regata avviene un sinistro con morti, anche molti (famoso l’episodio della regata del Fastnet del 14 agosto 1979, quando un uragano colse impreparate per la forza del vento e l’altezza delle onde ben 300 yacht, costringendo la Coast Guard ma anche la Royal Navy, a impegnare navi ed elicotteri, a soccorrere ben 125 imbarcazioni, con la perdita di 17 naviganti) nessuno persegue gli organizzatori perché la partecipazione del diportista è una libera scelta e… chi è causa del suo mal pianga sé stesso.

In Italia e in genere nei paesi latini, la colpa è quasi sempre del pubblico funzionario che in ogni caso, anche assai difficoltoso, ha l’obbligo di prevenire. Per questo sopra una certa potenza del motore è obbligatoria la patente nautica, come anche le dotazioni di bordo previste per le diverse dimensioni e tipologie di barca, e per distanza di navigazione dalla costa.

Dov’è meglio nel Regno Unito o in Italia? Chi ci segue conosce le nostre idee libertarie, meglio in Inghilterra. Da noi se vuoi essere libero di navigare dove ti pare, hai due strade: acquistare tutto ciò che impone la normativa italiana oppure più semplicemente cambiare bandiera, soluzione furba e inevitabile, quanto alla fine controproducente per il sistema paese.

Vogliamo parlare delle patenti? Attorno a esse ruotano interessi economici importanti, le autoscuole le vorrebbero ovviamente per chiunque, anche per condurre un 2HP, ma sarebbe risolutivo? Diventeremmo tutti bravi marinai? Si ridurrebbe il numero degli incidenti? Di scemi con la patente sono piene le nostre strade, la loro carneficina è quotidiana. La stessa percentuale ce la ritroveremmo comunque anche in mare. Non serve aumentare gli obblighi, ma far pagare chi sbaglia, chi con le barche uccide e chi attiva i soccorsi in mare perché si è dimenticato di mettere benzina. È vero che la maggior parte degli incidenti avviene sotto costa e vede coinvolti i natanti, ma gli sventurati e spesso imbecilli che li provocano, sono per la maggior parte patentati.

Col nostro approccio latino il fenomeno nautico si è sgonfiato, tanto che gli armatori/proprietari di barca che lasciano il diporto difficilmente sono sostituiti da nuove leve di utenti, con danno per l’economia delle nostre coste, della filiera che produce imbarcazioni, vanto del Made in Italy e dunque del Paese.

La mancanza di una classe politica adeguata ai veri problemi del paese ha, infine, dato il colpo di grazia e oggi quello che è il maggior patrimonio ambientale della nazione, appunto i famosi 8.000 chilometri di coste, invece di essere un atout vincente sono una palla di piombo in cui sguazza la malavita organizzata.

Allora, è bene rendere sempre più dure e punitive le direttive di settore che poi disincentivano l’utenza o sarebbe meglio guardare a un ammorbidimento che rivitalizzi l’economia costiera, favorendo gli investimenti infrastrutturali e turistici partecipi del Made in Italy?

Purtroppo conosciamo già la risposta che, nonostante i palleggiamenti fra i partiti, riuscirà a essere soltanto deludente. Specialmente perché ogni regione, ogni comune italiano ragiona in maniera possessiva del territorio, indirizzata soltanto al vantaggio locale. Lo spirito nazionale è assai fiacco, come dimostra la parcellizzazione regionale (navigando lungo costa ci sono norme differenti per ogni regione e ogni Capitaneria di Porto) e allora come possiamo pretendere che l’Europa, fatta di vere nazioni, non dimentichiamolo, risolva il problema dei migranti davanti al quale, già migliaia di anni fa sono scomparsi regni e imperi? Eppure già dalle incongruenze della nautica avremmo tanto da imparare.

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