
Riflessioni su yacht design, marketing, mestiere e mercato nautico
Yacht Design tra marketing, mestiere e mercato: evoluzione o smarrimento?
Vi siete mai soffermati a confrontare la “narrazione” delle opere dei designer nautici con le opere effettivamente realizzate? Io si, anche perché, nel bene e nel male, sono uno di loro e il problema me lo devo porre, se non altro per onestà intellettuale.
La conclusione a cui sono giunto è che ci sia, in generale e con alcune lodevoli eccezioni, una notevole distanza fra il racconto e l’opera realizzata, come se fosse chiaro l’obiettivo ma ci si fosse fermati a metà strada o, più semplicemente, si fosse persa la via cammin facendo. Nella migliore delle ipotesi, escludendo la furbizia, il calcolo e la mala fede, ci troviamo spesso di fronte a bei progetti mal realizzati. Provo ad analizzarne le cause.
Innanzitutto, va detto che il prodotto barca è talmente complesso che, per tradurre un’ottima idea in un buon manufatto, il processo è così lungo e articolato che, alla fine, il più delle volte, l’idea originale si perde nelle pieghe dei mille compromessi a cui bisogna adeguarsi.
In ogni caso, se l’obiettivo è “solo” fare un buon prodotto rispondente alle specifiche tecniche e funzionali del committente, si può ancora sperare di centrarlo. Questo è sicuramente vero però quasi solo per i mezzi navali professionali: pescherecci, rimorchiatori, navi militari, traghetti, ecc.
Nel diporto, sempre più spesso, abbiamo un problema in più rappresentato dalla presenza sempre più invadente, a partire dagli anni 80 del 900, del marketing, che fa la sua parte nel confondere le acque e annebbiare l’orizzonte di progettisti e cantieri.
In realtà, secondo i professionisti di questa nobilissima disciplina, il suo compito dovrebbe essere proprio quello di chiarire gli obiettivi del progetto e dare concretezza a concetti fumosi come target, brand positioning, family feeling, ecc.
Al di là delle intenzioni e della buona fede degli operatori, quel che è certo è che, davanti alle inoppugnabili certezze del marketing strategico sulla necessità di conferire “visibilità e distinzione” ai prodotti da immettere sul mercato, i primi a soccombere sono proprio i “funzionalisti”; prontissimi ad adattarsi al nuovo corso e a rivestire i propri progetti di graficismi che nulla hanno da invidiare alle “pinne” delle auto americane come le mitiche Cadillac o Pontiac degli anni 50.
Ecco allora apparire, salvo eclissarsi l’anno dopo, soluzioni “avveniristiche” come ali di gabbiano, mastodontici rollbar, modanature serpentiformi, finestrature a scafo dalle più svariate fogge e dimensioni. Il tutto col solo e fondamentale scopo, di dare, come dicevo prima, “identità” al prodotto e “distinguersi” dal rumore di fondo, cercando, in sintesi, di darsi uno “stile” riconoscibile a colpo d’occhio, ispirandosi spesso (scopiazzando) alle tendenze e alle mode del momento, senza un filo conduttore e senza alcuna coerenza con le reali esigenze dell’utente.
A complicare ulteriormente il quadro interviene poi un'altra costante del design nautico contemporaneo: la diffusa convinzione che quello che si vende siano i volumi e “l’abitabilità”. (fino a 20 metri contano i posti letto, sopra dominano i divani).
Questo aspetto è diventato talmente “strategico” che, giustamente, viene sempre di più affidato a “specialisti” dell’arredamento e del decor interno, che si muovono, spesso, in totale autonomia, senza nessuna considerazione delle proporzioni, dell’armonia generale e dell’architettura navale in genere; tanto poi le prestazioni sono garantite dalla potenza crescente della propulsione, alla stabilità ci pensano i giroscopi e per ridurre i consumi montiamo tonnellate di batterie che ci permettono di viaggiare due ore a 5 nodi.
Simmetricamente, i designer “ispirati”, che hanno, cioè, chiaro in testa, un carattere e un’idea formale della barca, se sono abbastanza autorevoli e riconosciuti, impongono le loro idee, (sintetizzate in genere in pochi schizzi o render molto “poetici”) ad armatori e cantieri in cerca di rapida notorietà che, per mancanza di cultura e competenza specifica, accettano acriticamente, costringendo, ancora una volta, fior di ingegneri navali, impiantisti e uffici tecnici, a virtuosismi ed acrobazie per rientrare nelle norme di classifica o, semplicemente, per far galleggiare l’imbarcazione in assetto.
Si dirà: ma non è possibile che oggi, con la ciclopica facilità di rappresentazione grafica e di analisi formale del progetto, per non parlare della potenza di calcolo previsionale, non si riesca a fare quello che maestri d’ascia e costruttori navali hanno fatto per secoli quasi “ad occhio”.
La domanda è legittima e la risposta è semplice: Quello che è venuto a mancare è IL TEMPO! Non tanto il tempo di realizzazione del progetto ma il tempo per la riflessione e l’affinamento delle idee e delle esperienze.
Nell’ultimo mezzo secolo anche le barche sono state “consumate” troppo in fretta e gli enormi progressi tecnici, che spesso si portano dietro un’evoluzione formale dell’oggetto progettato, non hanno avuto il tempo di consolidarsi a causa delle necessità / opportunità che hanno avuto le aziende, di produrre “novità” a ritmi parossistici, bruciando così, sull’altare del mercato e della crescita continua, oltre ad una montagna di denaro, tante ottime idee che non sono riuscite ad affinarsi fino a diventare “vendibili”.
Questa corsa alla continua novità genera due paradossi: da un lato una diffusa omologazione di soluzioni e forme che, solo perché hanno incontrato, più velocemente di altre, il consenso del mercato, si sono imposte come giuste se non, in alcuni clamorosi casi, come “rivoluzionarie”, salvo essere soppiantate dalla rivoluzione della stagione successiva. Dall’altro la concentrazione, nelle mani di pochi studi di progettazione, particolarmente strutturati, delle soluzioni tecniche e formali “buone per tutti”, al punto che, brand diversissimi per approccio al mercato e metodi di lavoro, si ritrovano a condividere le medesime soluzioni formali e le stesse tecniche costruttive.
Questa standardizzazione del gusto e dei metodi di lavoro è andata di pari passo con la ripetizione ossessiva di stilemi presi come “totem” indiscutibili seppur avulsi dal contesto e dalla funzione specifica.
Solo per fare alcuni esempi basti pensare a concetti come la prua rovescia, il tendalino rigido (hard-top), il wide body, le poppe aperte, il doppio timone, ecc.; Tutti concetti che non sono buoni o cattivi in sé ma che andrebbero analizzati, considerati ed applicati in rapporto al progetto complessivo, al contesto di utilizzo, alle caratteristiche dell’utilizzatore, agli ambiti e la durata di impiego, ecc; e che, a mio modo di vedere, potrebbero e dovrebbero tranquillamente convivere con tante altre forme e soluzioni consolidate negli anni, funzionali alle molteplici forme di utilizzo della singola imbarcazione.
In conclusione, ancora una volta le altisonanti dichiarazioni di innovazione e distinzione, non corrispondono alla realtà produttiva e alle soluzioni realmente messe in campo dai cantieri e, soprattutto, non rispondono alle molteplici esigenze di un’utenza che, a sua volta, non è in grado di esprimere domande chiare e bisogni reali.
In altre parole, come diceva un tal Voltaire: “Se vuoi conversare con me prima definisci i tuoi termini” o, più semplicemente, come dicono i miei figli quando tento di convincerli senza convinzione: “Papà ma di cosa stiamo parlando”?
Massimo Franchini
A seguito di questo editoriale, Giacomo Giulietti ci ha inviato il suo punto di vista sull'argomento che troverete al seguente link https://pressmare.it/it/comunicazione/press-mare/2025-02-09/yacht-design-marketing-nuovo-piove-governo-ladro-82090; quindi è stata la volta di Michele Ansaloni, qui il suo articolo https://pressmare.it/it/comunicazione/press-mare/2025-02-07/yacht-design-marketing-mercato-evoluzione-smarrimento-82065; poi l'editoriale di Roberto Franzoni https://pressmare.it/it/comunicazione/press-mare/2025-02-14/nuove-barche-marketing-decide-tendenze-mercato-nautico-82131; l'opinione di Angelo Colombo https://pressmare.it/it/comunicazione/press-mare/2025-02-18/evoluzione-yachting-responsabilita-marketing-82196
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