Capo Sandalo, Carloforte. Foto Wikimedia Commons

Capo Sandalo, Carloforte. Foto Wikimedia Commons

Quando i popoli migravano: Carloforte, fra Genova e Tabarka

Storia e Cultura

13/10/2017 - 17:30

Carloforte: fra Genove e Tabarca. Il perché di un’enclave che ha mantenuto intatta la cultura delle sue origini liguri.

Quando i popoli migravano

 

Dopo tanti anni che sentivo parlare di Carloforte e ne sentivo parlare sempre con ammirazione, la posizione, la gente, il mare... vi arrivo dopo avere attraversato mezzo Mediterraneo e le "Colonne d'Ercole". Subito ho percepito che c'era qualche cosa di magico. Arrivi dal mare aperto e ti ritrovi ben ridossato, in un’acqua cristallina, con la Sardegna davanti, quasi come a dire "ecco ora sei a casa, riposati pure tranquillo..."

E per chi non lo sapesse, ma bene o male lo sanno tutti quelli che ne hanno sentito parlare, una volta che sei sceso in quella terra, che comunque è Sardegna, parole e muri ti parlano Genovese! Il dialetto dei Carlofortini è "puro" genovese (puro nel senso di antico e che non si è evoluto nel tempo come il linguaggio parlato a Genova) e le viuzze ricordano i "caruggi" genovesi.

Ce n'è abbastanza perché ogni navigatore si ponga la domanda: ho sbagliato rotta? Volevo venire in Sardegna e invece sono arrivato in Liguria!!! Ma le carte (bèh, oggi il GPS), non mentono. Sono in Sardegna, anzi inequivocabilmente a Carloforte.

La risposta sembra semplice, sono emigrati di Genova che magari si sono stabiliti qui. In realtà la risposta non è così immediata. Sono si genovesi, ma più precisamente sono tabarchini. La "rotta" che li ha portati qui non è stata diretta, ma si è permessa una sosta di circa duecento anni nell'isola di Tabarca in Tunisia. Infatti, a meta del '500 un gruppo di genovesi si trasferì in quell'isola della costa Nord Ovest della Tunisia, dove la famiglia genovese dei Lomellini aveva concordato con il Bey di Tunisi e il Day di Algeri, una concessione per lo sfruttamento delle acque circostanti l'isola, soprattutto per la pesca dell'oro rosso, il corallo, e del tonno. Concessione durata fino alla prima metà del '700 quando, ormai esauriti i fondali e in seguito ai primi litigi con il mondo islamico, l'isola tornò in mano ai tunisini e gli abitanti furono "costretti" a trasferirsi altrove. Cioè proprio a Carloforte, dove allora il governo della Sardegna necessitava che qualcuno ripopolasse l'isola di S. Pietro e quella di S. Antioco. Così, in poco meno di trenta anni, gli abitanti di Tabarca si spostarono quasi tutti (altri tornarono a Genova) a Carloforte e Calasetta, dove fondarono le comunità che ancora esistono e prosperano.

La cosa in sé non avrebbe nulla di speciale, infatti quanti "popoli" nel tempo si sono spostati e messo le radici altrove? A Latina una buona parte dei cognomi sono veneti. I pescatori ponzesi li trovi in tutte le località di mare italiane. Paesi interi, soprattutto, del Sud Italia, si sono quasi completamente spopolati per emigrare dove c'era lavoro. E tutti hanno trovato casa e si sono integrati (più o meno) altrove. Ma quello che rende speciale Carloforte è l'identità che il gruppo di cittadini ha mantenuto nel tempo. Identità storica, di lingua, di usi e costumi, alimentare, insomma un’identità culturale e sociale, che ne fa una vera e propria enclave. A Carloforte, Sardegna, ci si "sente" di essere in un luogo speciale perché l'impatto della comunità tabarchina è stato "totale". Le due isole praticamente disabitate furono colonizzate completamente e, quindi, non ci fu bisogno di nessuna integrazione. C'era solo la terra (e il mare!), intesa come spazio fisico. Il resto è stato "importato" tutto: persone, abitudini, tradizioni, lavoro (corallo e tonno), generi alimentari e lingua, il tutto arricchito di quanto "assorbito" in duecento anni dalle popolazioni tunisine dei dintorni dell'isola di Tabarca. Quindi, una identità strettissima, figlia di una storia unica, che ha prodotto anche situazioni particolari. Come durante "l'invasione" della Sardegna da parte dei Francesi, che riuscirono a conquistare solo le isole di S. Pietro e S.Antioco, nel 1793. Ma dove non fu sparato nemmeno un colpo e nessuno perì, né invasori né conquistati. Dove le idee di "Egalitè, Fraternitè, Libertè" passarono come una nottata di maestrale sulle isole. Infatti, dopo 5 mesi gli Spagnoli arrivarono in soccorso al regno di Sardegna e i Francesi furono costretti a ritirarsi... un così magro bottino, due isolette separate dal mare dall'oggetto della vera conquista, la Sardegna, non conveniva nemmeno a loro.

Il mare, quindi, come qualcosa che unisce ma che divide anche. Unisce perché non esistono confini fisici nell'attraversarlo ed è (era) più veloce spostarsi in mare che in terra. Che divide perché comunque nell'attraversarlo non mi posso "fermare a riposarmi" da qualche parte, come in un cammino per vie terrestri e la separazione tra dove parto e dove arrivo è netta. Quindi, rimanere una comunità separata dai propri progenitori, ma unita nelle proprie tradizioni è più facile e naturale.

Tornando al principio di questo mio racconto, cioè arrivare per la prima volta in quel porto, dal mare, rende tutto ancor più speciale, perché è stato proprio il mare la via attraverso cui è nato questo luogo. E noi, navigatori di oggi, modesti e novelli Ulisse, questo lo riconosciamo. E' un attimo immaginare le spiagge con i gozzi dei pescatori tirati in secca; le banchine piene di mercanti, marinai, facchini... i porti pieni di "legni" di ogni tipo, uno accanto all'altro… le difficoltà di navigazione con quei mezzi… i racconti di luoghi lontani...

Ma questa è un'altra storia!!

Ugo Carsana, Captains and Crew

 

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