Uno stabilimento balneare

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Concessioni demaniali a uso turistico ricreativo: vicenda da litigation pr

Portualità

28/11/2021 - 13:33

L’attuale e nota questione della compatibilità della disciplina italiana dettata per le concessioni demaniali ad uso turistico ricreativo con la normativa europea, costituisce un interessante caso di studio e l’occasione di una riflessione attuale per il tema litigation pr, cioè la gestione a livello professionale delle attività di comunicazione sviluppate ed esercitate dalle parti coinvolte in una controversia legale. Almeno tre sono i profili riconducibili.

Il primo è costituto dall’assenza del comparto nella fase di elaborazione delle direttiva, che ha comportato l’impossibilità di far valere le ragioni della necessità di esclusione del settore e la ben maggiore difficoltà di provarlo, a direttiva approvata.

Le ragioni di tale assenza, in verità, potrebbero essere anche rintracciate nella mancata percezione, da parte dei concessionari italiani, dell’effettiva portata della norma e della possibile inclusione nella sua disciplina.

Il primo profilo evidenzia, in ogni caso, la visione dell’Unione europea da parte di molti comparti come di un legislatore “lontano” e la mancata conoscenza dei numerosi ed ampi strumenti di rappresentanza delle categorie nelle sedi legislative comunitarie, che sono oggi prevalenti.

Il secondo profilo, non meno rilevante, è costituito dalla mancata effettiva analisi della questione per molti anni, sino alla frettolosa abrogazione del diritto di insistenza, senza percepire la portata effettiva di una modifica parziale, che avrebbe creato un vuoto normativo su un mercato molto maturo.

Da questo momento in poi si sono susseguiti una serie di interventi normativi che, a varie riprese, hanno tentato di rimediare ad una lacuna difficilmente colmabile se non con un adeguato periodo transitorio.

E accanto ad una disciplina svuotata senza un’adeguata riflessione, e’ sorto un contenzioso ondivago, mai concentrato sulle questioni di diritto europeo, se non da ultimo.

In tutta la vicenda, e veniamo al secondo profilo, non è mai stati adeguatamente descritto o rilevato il mercato di cui si parla.

Possiamo oggi affermare con certezza che la percezione mediatica di un settore che nemmeno lo Stato conosce em stata del tutto viziata dalla mancanza di dati effettivi e certi.

E, ancor prima, per l’assenza di un metodo di rilevazione dei dati che appaia affidabile e completo.

Non basta, infatti, rilevare il numero dei concessionari, dato comunque difficile da reperire perché non rinvenibile in una sola fonte, né il dato numerico, di per sé, appare utile ai fini di un’acquisizione di conoscenza del mercato.

Accanto a questo dato, per ottenere una rilevazione utile anche a fini legislativi, occorrerà evidenziare la tipologia di aziende, l’esistenza di un eventuale tessuto di microimprese, che anche nella normativa europea godono di tutela rafforzata, il tipo di investimenti effettuati e la loro anteriorità, la densità di dipendenti, gli obblighi assunti dai concessionari, le tipologie di investimenti effettuati.

E si badi che la raccolta di tali dati costituirebbe solo l’avvio di un processo di mappatura.

Infatti, poiché sul demanio insistono numerosi interessi pubblici concorrenti, non potrà non tenersi conto dell’indotto generato dagli stabilimenti balneari, dell’impatto sul prodotto interno lordo e di quello sul comparto turistico, del rapporto con gli enti territoriali e con gli strumenti urbanistici, dell’impatto sull’ambiente di scelte di politica concorrenziale piena, del ruolo dei concessionari sul tema Made in Italy sulla tutela delle specificità territoriali.

La mancanza di un dibattito effettivo sul settore, scevro da preconcetti, alla sola ricerca dell’effettivo valore del comparto, impatta in modo significativo sulla percezione che l’opinione pubblica prima e gli organi giurisdizionali poi hanno del comparto, con la veicolazione di concetti basati non su dati accertati, ma su percezioni, soggettive o politiche, veicolate però come dati.

Sotto il profilo giuridico basti evidenziare come la scarsità della risorsa e l’interesse transfrontaliero delle concessioni demaniali marittime italiane, non trovino alcuna definizione nella disciplina europea, ma siano stati soltanto e correttamente utilizzati dalla Corte di Giustizia per rimarcare i confini e i limiti di una pronuncia, che trova il suo primo e insuperabile  limite nei quesiti che le furono sottoposti.

Vale la pena di ricordare infatti, soprattutto oggi, che i temi discussi avanti il Consiglio di Stato non sono gli stessi su cui la Corte aveva potuto pronunciarsi.

La diretta applicazione della direttiva servizi, la nozione di scarsità della risorsa naturale, se il turismo sia o meno materia di armonizzazione sono tutte questioni sollevate solo nell’attuale fase di esame della questione e non trovano alcuna conferma o meno nella sola decisione che la Corte ha adottato in materia.

E giungiamo così al terzo profilo: dopo la

Sentenza del Consiglio di Stato che immotivatamente non ha sottoposto la questione al solo giudice che avrebbe dovuto dirimerla, la questione, non affatto risolta, sembra oggi alla ricerca di una soluzione normativa veloce, al fine di rasserenare un mercato, del tutto giustamente in allarme.

E ciò mentre si susseguono sulla stampa fantasiose immagini di litorali liberi, lasciati all’incuria e non alla libera fruizione, così come tifoserie che parlano di “canoni”, errati negli importi e mai valutati nel contesto di bilanciamento di diritti e doveri dei concessionari.

Così ne dobbiamo concludere che oggi, in assenza di una riflessione ampia, libera e seria sulla consistenza del mercato, e in cui comunicazione e diritto camminino sulla stessa linea, non si può correttamente mettere un punto, o se lo si metterà occorrerà avere pronta la gomma da cancellare, una volta che i dati reali, una volta raccolti, o un serio esame del mercato europeo rimetteranno in gioco l’intera vicenda. Forse troppo tardi.

Cristina Pozzi

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