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Concessioni demaniali marittime italiane: facciamo il punto

Portualità

16/02/2021 - 13:30

Con Ordinanza n. 643/2021 il Consiglio di Stato, Quinta Sezione, è tornato ad occuparsi del tema delle concessioni demaniali marittime uso turistico ricreativo e dell’estensione della loro durata al 31 dicembre 2033, prevista dalla legge 145/2018, voluta dall’allora Ministro del Turismo Gian Marco Centinaio.

Il Consiglio di Stato, in particolare, era chiamato a decidere sulla richiesta di sospensione cautelare della ormai nota Sentenza del Tar Lecce n. 1322/2020 (poi seguita da molte altre analoghe pronte del medesimo Tar).

La pronuncia in questione, con un preciso ed ampio ragionamento, pur riconoscendo l’esistenza di un potere di disapplicazione in capo sia al giudice che al pubblico funzionario, ne aveva chiarito puntualmente la funzione e la portata, osservando come nel caso della direttiva 123/2006/CE la cd. Bolkestein il pubblico funzionario, che in astratto avrebbe il potere di disapplicare, non avrebbe do-vuto farlo per le caratteristiche della norma europea in questione, che non è né direttamente appli-cabile né direttamente efficace.

Nell’Ordinanza odierna il Consiglio, non ha accolto la richiesta di sospensiva promossa dal Comu-ne di Castrignano, ritenendo che non vi sia urgenza di provvedere a sospendere (periculum) nelle more dello svolgimento del giudizio di merito, condannando il ricorrente Comune alla rifusione del-la spese della fase cautelare.

Così facendo il Consiglio di Stato impone una sorta di stand still, non intervenendo oggi nel merito della vicenda, ma ritenendo di non accogliere la richiesta del Comune di sospendere la sentenza di primo grado.

Si aggiunge, quindi, un tassello al complesso attuale quadro della situazione delle concessioni de-maniali marittime ad uso turistico-ricreativo nel nostro paese.

Si è assistito, infatti, soprattutto negli ultimi mesi, a pronunce di segno diverso, su cui possiamo trarre almeno due conclusioni: la prima è che non vi sono sentenze passate in giudicato che abbiano effettivamente sancito l’incompatibilità della legge 145/18 con il diritto comunitario; la seconda, che, nella giurisprudenza del settore, molto pesano le problematiche edilizie, e, pertanto, occorre esaminare le pronunce, con particolare attenzione agli elementi di fatto dei singoli casi.

Oltre alla giurisprudenza di cui abbiamo appena detto, dal punto di vista degli Enti coinvolti si è as-sistito ad un numero molto elevato di amministrazioni che, anche da molto tempo, hanno provvedu-to ad applicare l’estensione prevista dalla Legge 145/18, mentre si sono registrate una serie di voci difformi che, hanno concesso proroghe diverse da quelle previste dalla legge (da tre mesi a tre an-ni), con provvedimenti attualmente sottoposti al vaglio dei Tribunali amministrativi regionali.

Nel contempo, la Commissione europea, a due anni dall’emanazione della Legge 145/18, ha inviato allo Stato italiano una lettera di messa in mora, con cui chiedeva chiarimenti in ordine ai contenuti e ai progressi della riforma prevista dalla legge.

Vale la pena di ricordare, infatti, che la legge 145/18, per prima, introduceva un’estensione di quin-dici anni delle sole concessioni che erano in vigore all’epoca della abrogazione del diritto di insi-stenza, estensione che era volta a consentire una  disamina del settore e una verifica dell’effettiva situazione delle concessioni, in termini di numero, durata, aree occupate e libere, tipologia di con-cessionari e investimenti effettuati.

L’estensione, dunque, altro non era che un periodo transitorio volto a consentire al Governo di ave-re contezza di una serie di elementi, necessari e preliminari ad una completa ed efficace riforma.

Nel quadro, che abbiamo descritto, assume, dunque, una decisiva rilevanza la risposta che lo Stato ha dato ed intende portare avanti nel quadro della procedura con la Commissione europea, con la quale il dialogo non potrà che toccare anche temi che non sono stati ancora adeguatamente affronta-ti, quali il ruolo delle competenze sulle concessioni e il legame con lo sviluppo territoriale; quello, per certi versi assorbente, dell’effettiva inquadrabilità delle concessioni nell’ambito della direttiva servizi e, quindi, del presupposto della scarsità delle risorse; quello della valutazione del valore aziendale di impresa delle autorizzazioni.

Forse, oggi, i tempi sono maturi perché la riflessione possa e debba anche andare oltre, sotto un du-plice profilo: il primo è costituito dall’innegabile connessione tra il demanio marittimo e le conces-sioni, secondo il principio di proficuità, da intendersi come migliore e più rispettosa utilizzazione del bene, con riguardo ai vari interessi pubblici che sullo stesso si estendono.

Ci si riferisce al turismo, alla pesca, alla tutela dell’ambiente marino, allo sviluppo e alle caratteriz-zazioni dei singoli territori, elementi che potrebbero portare ad evidenziare come sia ormai impro-rogabile una complessiva riforma del demanio marittimo.

Il secondo è, invece, necessariamente legato alla direttiva: a molti anni dalla sua emanazione e nella considerazione del fallimento dei suoi scopi, come molti studi che ne hanno esaminato l’impatto chiariscono, vale la pena di interrogarsi e di confrontarsi sull’effettiva applicabilità dell’art. 12 e del suo sistema di selezione ad un ambito, che, anche all’interprete, pare oggi molto lontano dal “sevi-zio” nel senso inteso dalla direttiva.

E, quindi,  proprio un ragionamento di diritto europeo sulle concessioni demaniali marittime italiane potrebbe condurle nell’alveo di una regolazione diversa e rispettosa delle peculiarità del demanio marittimo italiano.

Nel rispetto dei principi stabiliti dalla giurisprudenza Promoimpresa, che nell’inquadrarle come au-torizzazioni, ne ha implicitamente valorizzato investimenti e patrimonio, ed immateriale, costruito negli anni dall’impresa.

Cristina Pozzi

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