Yannick Bestaven vincitore su Maître Coq IV

Yannick Bestaven vincitore su Maître Coq IV

L’opinione di Pietro D’Alì su una Vendée Globe stupefacente

Sport

07/02/2021 - 12:47

Pietro D’Alì è probabilmente il velista italiano più completo, ha preso parte alle Olimpiadi (sulla Star a Sydney, decimo) alla Whitbread Round the World Race (‘93-‘94 su Brooksfield) e a due sfide di America’s Cup vincendo la Louis Vuitton Cup del 2000 come randista di Luna Rossa. Pietro è innanzitutto un gran marinaio, a 13 anni era già imbarcato su Guia IV di Falck e dopo l’esperienza in Coppa si è dedicato sia al professionismo nelle classi monotipo e d’altura che alla Solitaire du Figaro, unico italiano ad aver vinto una tappa.

La nona edizione della Vendée Globe è stata a dir poco stupefacente, sono decisamente tanti, forse troppi, gli spunti che ha offerto. Resto su quelli che subito dopo l’arrivo mi frullano in testa. Il numero dei partecipanti, innanzitutto: in un periodo così complesso avere ben 33 IMOCA sulla linea di partenza è stato un successo a prescindere, e poi le barche di vecchia generazione con i soli daggerboard che insidiano i foil, quelle di ultima generazione in difficoltà, non lo avrei immaginato.

Una copertura mediatica da Grande Fratello con live quotidiani su internet come se fosse il TG, le barche connesse via WhatsApp 24 ore al giorno, agli skipper non basta più essere ottimi marinai e regatanti, ma anche attori o, forse meglio, onboard reporter. Sinceramente sono più abituato al silenzio della solitudine, ma tutto questo aiuta la visibilità per gli sponsor ed è quindi utile alla vela in generale e alle grandi regate in solitario in particolare.

Le condizioni meteo sono state atipiche, quasi uniche, non hanno permesso alle barche di testa di distaccarsi dalla flotta che anzi, si è ricompattata diverse volte ed ha visto un gran numero di concorrenti alternarsi al comando. Per la prima volta l’ultimo della flotta in regata aveva doppiato Capo Horn quando il primo è entrato nel canale di Les Sables.

Un arrivo così ravvicinato probabilmente non sarà ripetibile, il thrilling della collisione di Boris che ci ricorda quanto tutto sia appeso a un filo, il rischio di vanificare tutto a 90 miglia dall’arrivo… mi è venuto in mente l’incidente con il peschereccio insieme a Giovanni (Soldini) durante la qualifica per la Transat Jaques Vabre e anche quando nella Solidaire du Chocolat a 7 miglia dall’arrivo (a Progreso, nello Yucatan in Messico, vinta sul Class 40 Telecom Italia, ndr.) mentre ero al timone sotto gennaker una barca da pesca a luci spente mi ha puntato la pila in faccia a due lunghezze, ho coricato la barca orzando e la scotta frustò lo scafo del pescatore… Boris lo conobbi al Fastnet 2009 con Giovanni, poi non ci siamo più incontrati ma ricordo la sua semplicità e simpatia, mi hanno sempre impressionato la sua flemma e la naturalezza dei suoi video e, anche in questa occasione, ha documentato l’accaduto dopo la collisione senza far trasparire lo stato d’animo davanti alla telecamera. Chapeau, io non ce l’avrei fatta, è stato un vero lord all’altezza del blasonato Yacht Club che rappresenta.

Personalmente, provo particolare ammirazione per Jean Le Cam, una vera volpe degli oceani con doti marinaresche delle quali ha dato ampie dimostrazioni anche in questa occasione. Di lui mi aveva molto parlato Kito de Pavant, con il quale vinsi la Transat AG2R, e che è stato coskipper di Le Cam. Mi piace come comunica, in modo originale, simpatico e diretto, in più ha dato ancora parecchio filo da torcere ai più giovani, un quinto posto finale su una barca del 2008 è un’impresa eccezionale, l’esperienza insegna.

Yannick Bestaven e Damien Seguin li ho incontrati come avversari più volte sia in Figaro che in Class 40, abbiamo stima reciproca e sono molto sportivi, mi ha fatto piacere vederli navigare così bene, per Yannick è una vittoria senza dubbio meritata!

Al nostro Giancarlo Pedote va fatto un grandissimo applauso: è stato molto bravo non soltanto nel suo esordio alla Vendée, ma per come ha saputo costruire il suo percorso, con una programmazione di anni, piccoli step che gli hanno permesso di avere un' ottima barca, ha gestito al meglio sia l’organizzazione a terra che il tempo in mare per imparare a utilizzare al meglio il proprio mezzo e renderlo affidabile. Si tratta della soluzione migliore nonché l’unica quando non si dispone di un budget stellare. Non solo, le sue scelte si sono rivelate anche vincenti rispetto a barche con un potenziale maggiore ma incapaci di sfruttarlo. Giancarlo ha comunicato molto bene, speriamo che questo ritorno mediatico possa portare almeno un altro italiano alla prossima Vendée Globe. Una barca interessante in vendita ci sarebbe, se non hanno preso altri accordi quella di Boris (Hermann) costa 2.700.000 Euro, una cifra impensabile per le persone comuni, ma accessibile per uno sponsor che abbia una strategia di marketing collegata a questo tipo di eventi. Dal mio punto di vista ritengo che sarebbe bello se un programma del genere facesse base prevalentemente in Italia, rendendo più facile la promozione nel nostro paese.

I nuovi IMOCA sono tutti molto interessanti, quello che mi ha colpito più di tutti è L' Occitane en Provence di Tripon, un progetto di Manuard, lui stesso regatante di alto livello, autocostruttore dei suoi Mini 6.50. Lo conobbi alla Jaques Vabre che fece con Gaetano Mura, gli chiesi per quale ragione non progettasse un IMOCA, mi disse che non ci pensava proprio, gli avrebbero complicato la vita perché sono commesse troppo esigenti. Invece eccolo qui, a 7 anni da quelle dichiarazioni ha progettato l’IMOCA più rivoluzionario e marino della flotta, con la prua a ginocchio alta sull’acqua a scapito della lunghezza al galleggiamento, grazie al massimo della larghezza a livello della coperta riduce le ingavonate, i foil con la scassa all’altezza della coperta limitano il pericolo di riempire la barca d’acqua, la forma circolare li rende più facili da gestire e permettono, in condizioni estreme, di rientrare completamente senza toccare più l’acqua. Infatti, in certe situazioni i foil non consentono di rallentare la barca, portano a decelerazioni violente che non permettono di andare più veloci delle barche con i daggerboard. Va comunque detto che la barca con i foil è più stressante per i colpi che prende e per il fischio assordante del foil stesso, in compenso richiede meno cambi e meno superfice velica, soprattutto sulle vele di prua che sono anche più magre perché è in grado di farsi più apparente, inoltre in condizioni ideali di reaching può fare dai 3 ai 5 nodi in più di un IMOCA senza foil.

Vedremo gli sviluppi futuri, c’è il tema dell’albero one design che non è progettato per i carichi dei foil, in più queste barche vedranno nuove innovazioni per The Ocean Race, dove saranno portate verso nuovi limiti da un equipaggio e non da un navigatore solitario.

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