Repower-e, progetto dello studio H3O di Milano

Repower-e, progetto dello studio H3O di Milano

Andrea Colli, H3O: progettare barche green un dovere per il pianeta

Barca a motore

25/05/2020 - 17:10

È tangibile che qualcosa nel mondo si stesse già facendo prima della pandemia da Covid 19 a proposito di Green Deal, tanto più oggi gli esperti lo indicano come il vero fattore di cambiamento per l’intera umanità in tutti i settori. Con Green Deal si indica una nuova fase focalizzata nel ridurre al minimo i rischi per il clima, salvaguardare la salute umana e la biodiversità: si cerca di ridurre le emissioni di CO2, in parte sviluppando fonti energetiche più pulite e tecnologie verdi, in parte attraverso la crescita di una cultura volta a responsabilizzare il singolo, ciascuno di noi, perché si abbia più rispetto per l’ambiente, modificando abitudini e stili di vita.

Ciò avviene in ogni ambito, specie nell’automotive dove il parco dei veicoli esistenti è di miliardi di unità e l’utilizzo dei motori alimentati con carburanti fossili viene man mano rimpiazzato da soluzioni diverse, le così dette fonti alternative: le energie rinnovabili. È dunque iniziata una sfida epocale che porterà in tempi non troppo lunghi a soppiantare miliardi di mezzi, che sta giustamente coinvolgendo ogni attività umana, anche quelle legate al tempo libero, alle passioni, soprattutto quando queste si svolgono a stretto contatto con l’ambiente.

Per parlare di quanto sta avvenendo nell’ambito dei trasporti via acqua e nella nautica, abbiamo intervistato Andrea Colli, Senior Architect dello studio milanese H3O Design, che assieme al suo team ha firmato una delle barche elettriche più interessanti, Repower-e, un progetto che ha decisamente anticipato tempi e tendenze.

PressMare - Quali sono stati, innanzi tutto, i punti focali sui quali è stato sviluppato il progetto?

Andrea Colli - Nel 2016 abbiamo ricevuto da un nostro cliente lungimirante, che opera nel trasporto pubblico sui laghi, la richiesta di progettare una nuova imbarcazione, per la navigazione nel lago di Garda anche in presenza di restrizioni anti inquinamento.

Insieme ai nostri numerosi collaboratori, tra cui la CIMA 1915 (azienda specializzata nella produzione di motori elettrici) abbiamo progettato un’imbarcazione all’avanguardia a emissioni zero, al 100% elettrica, adatta sia al trasporto di persone che al diporto.

Parallelamente vi era la necessità di poter immatricolare l’imbarcazione seguendo le nuove Direttive Europee, piuttosto restrittive, che di fatto tendevano a limitare in modo significativo il numero dei passeggeri imbarcabili.

PM - Come avete risolto?

AC - Siamo riusciti nell’intento riorganizzando gli spazi di coperta grazie alla versatilità dei motori elettrici, sia in termini di posizionamento che grazie alle loro dimensioni molto contenute, ottenendo sostanzialmente un ponte sgombro disponibile per i posti a sedere e per le aree di imbarco e sbarco richieste dalla normativa.

Il risultato, dopo un periodo di test di questo primo progetto seguendo una logica modulare resa possibile sempre dall’estrema adattabilità degli spazi e dall’assenza del vano motore, è Repower-e, l’imbarcazione al 100% elettrica presentata al 58° Salone Nautico Internazionale di Genova.

Si tratta di un’imbarcazione con linee più moderne, con il ponte protetto da un elegante tuga centrale con tetto sollevabile ad altezza variabile e un mix di materiali classici come il teak. Sono stati studiati imbarchi estremamente facilitati che, con opportune modifiche, la rendono fruibile anche a passeggeri con disabilità motorie.

PM - Potrebbe essere utilizzata anche come taxi in Laguna?

AC - È più versatile dei classici taxi veneziani, ne richiama al tempo stesso l’elegante tradizione. Lunga 10.50 metri inclusa la piattaforma di poppa e larga 3 metri, può imbarcare fino a 12 persone oltre al driver.

PM - Quali caratteristiche deve avere la carena di una barca che nasce per essere utilizzata solo con propulsione elettrica, quindi con basso impiego di potenza?

AC: La carena è stata progettata ottimizzando le linee d’acqua sulle velocità medie di esercizio. Si tratta di velocità al di sotto o prossime alla velocità di carena. In più, su specifica richiesta del cliente, la carena doveva permettere di raggiungere 16 nodi con la potenza installata, quindi doveva poter entrare in regime planante senza forti modifiche di assetto, mantenendo comunque sufficiente stabilità sia di rotta sia in virata. Il compromesso progettuale per avere un buon responso in entrambe le condizioni è stato molto complesso da ottenere ed è per questa ragione che le linee d’acqua di queste barche sono così particolari.

PM - La prua verticale è un vezzo per essere alla moda oppure ha una ragione tecnica?

Grazie alla prua verticale, la lunghezza al galleggiamento alla velocità di carena corrisponde alla lunghezza fuori tutto: questo aiuta a distribuire il più possibile in lunghezza il volume immerso e ottenere da metà barca fino a poppa un rocker più lineare possibile. La larghezza massima di 3 metri è anche questa dovuta a un compromesso fra riduzione della resistenza all’avanzamento, necessità di superficie calpestabile in coperta e raddrizzamento di forma nei primi angoli di sbandamento.

La conformazione dell’opera viva è funzione anche del tipo di propulsione scelta che, in questo caso è affidata a due eliche poste ai lati della V di carena, sia per motivi di efficienza, sia per contenere il pescaggio. Inoltre, abbiamo puntato molto sulla leggerezza utilizzando sistemi costruttivi che solitamente si utilizzano su yacht di lusso: la barca completa in questo allestimento pesa poco più di 3.000 Kg e può portare un carico utile di 2.900 Kg.

PM - Trattandosi di una barca per il trasporto passeggeri, una taxi boat, immaginiamo che il progetto navale abbia dovuto tener conto fortemente del fattore stabilità: come lo avete affrontato?

AC - Garantire la necessaria stabilità è stato uno dei compiti più importanti ed è stato uno dei parametri di maggior interesse nella definizione dell’architettura generale sia dello scafo, sia dell’intera barca. Abbiamo abbassato il più possibile il baricentro, con un posizionamento delle batterie il più basso possibile, collocate in appositi vani longitudinali centrali, che sfruttano la massima profondità dello scafo (proprio in corrispondenza della V di carena). Inoltre, la fondamentale componente di stabilità di forma, quella che più interessa ai bassi angoli di sbandamento, è assicurata dalla presenza di larghi pattini longitudinali il cui andamento sposa sia la forma dell’onda di carena, sia una disposizione dei volumi che permette di mantenere un assetto costante al variare dal carico pagante (nella versione trasporto pubblico con 29 passeggeri di capienza massima, si immaginino le operazioni di imbarco o le virate con 2.500Kg di passeggeri).

PM - Per assicurare autonomia con le attuali tecnologie, le barche elettriche devono ricorrere a un congruo numero di batterie: come avete risolto il problema del peso? Quali particolari accortezze avete usato?

AC - Aumentare la capacità dei pacchi batterie imbarcati significa aumentare il peso totale della barca e quindi aumentare la resistenza all’avanzamento. Anche qui si tratta quindi di raggiungere un compromesso ideale fra peso totale e capacità delle batterie in funzione alla reale necessità di autonomia che si vuole ottenere. Avere il doppio della capacità di quello che realmente serve è inutile: si avrebbe più peso, più resistenza e un maggior consumo di energia. Il rapporto fra peso delle batterie in relazione alla loro capacità è molto migliorato dal varo della prima barca in versione open. Quella presentata al Salone di Genova ha una capacità migliorata del 20% e un sistema dei pacchi batterie che occupa molto meno spazio.

Per questo motivo un sistema deve potersi adattare agli aggiornamenti e deve quindi essere modulare così da assecondare le diverse necessità dei clienti.

Di certo, un aiuto indiretto all’aumento dell’efficienza si ottiene dal controllo e dal contenimento dei pesi, per questo la costruzione è stata eseguita utilizzando solo rinforzi biassiali e unidirezionali, resina epossidica impiegando la tecnologia dello stampaggio a membrana. Questo procedimento permette di avere un laminato finale con l’esatto rapporto fra resina e fibre, permette inoltre di ottenere già in fase di stampaggio superfici finite su entrambe le facce, eliminando la necessità di costose e pesanti operazioni di finitura.

PM - Per il progetto Repower-e avete portato avanti particolari studi anche in termini di sicurezza?

AC - La barca ha ottenuto la completa omologazione da parte degli enti di Classifica, si tratta di un prodotto vendibile sul mercato con requisiti di stabilità e di organizzazione di coperta conformi alle attuali direttive europee per il trasporto pubblico in acque interne.

Sotto diversi aspetti, questa è stata la prima imbarcazione nel suo genere, tanto che l’ente certificatore, almeno per i primi tempi, ha utilizzato alcuni dei parametri rilevati sulla prima barca come riferimento per i suoi successivi test di omologazione di altre imbarcazioni.

Vale lo stesso discorso da un punto di vista impiantistico: la propulsione elettrica su imbarcazioni di questa tipologia esisteva solo come “retrofit”. Entrando nel dettaglio del progetto abbiamo constatato una certa approssimazione nel modo in cui diverse aziende del settore cercavano di esaudire le nostre richieste. Soprattutto sembrava mancare una unità di intenti fra i produttori di componenti che dovevano far parte dello stesso sistema.

È stata proprio l’idea di vedere la parte impiantistica come sistema che ha fatto la differenza in termini di qualità e sicurezza del prodotto. Sono passati 6 anni e nel campo son stati fatti passi da gigante, andando esattamente nella direzione da noi prospettata.

PM - Repower–e non è soltanto una taxi boat, esistono da progetto differenti versioni che la declinano come tender di prestigio piuttosto che un’unità a sé stante per navigazioni di piacere anche in aree interdette ai motori termici. Ritiene che questo progetto potrà essere alla base di un nuovo modo di concepire il diporto nautico a motore?

AC - Assolutamente si. Indipendentemente dalla versione, si tratta di un nuovo modo di intendere la mobilità sull’acqua: senza emissioni e senza rumore, perfettamente inseriti nell’ambiente circostante, da preservare per le generazioni future.  Insieme al mio team è qualcosa che cerchiamo di fare quotidianamente in tutti i nostri progetti, sia che si tratti di produzioni in serie o tender custom.

Non meno di 5 anni fa, pensare alla mobilità sostenibile nella nautica era da pionieri. Pochi ti davano retta, pochi consideravano l’iniziativa economicamente sostenibile. Già nel 2016, la prima versione di questa imbarcazione ha ottenuto il riconoscimento Eccellenze della Lombardia nel Design per la mobilità coronando successivamente il mio orgoglio con la menzione d’onore al Compasso d’oro ADI 2018 nella categoria mobilità sostenibile.

PM - Questo significa che anche in campo nautico la consapevolezza sta cambiando velocemente?

AC - Fortunatamente sì, ma bisogna affrontare la questione delle barche green molto seriamente, perché si tratta del nostro futuro, del futuro di tutti. Per rendere l’idea del livello di qualità del progetto e del suo potenziale utilizzo, nel 2017 Repower, azienda attiva nel settore elettrico, tra i primi operatori svizzeri nella generazione energetica da fonti rinnovabili che opera sull’intero mercato svizzero e italiano, ha cofinanziato lo sviluppo del progetto per poi acquistarlo interamente nel 2018. 

Per il futuro abbiamo in previsione nuovi progetti da sviluppare con i nostri numerosi partner.

Fabio Petrone

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