Alfredo Malcarne, presidente Assonautica

Alfredo Malcarne, presidente Assonautica

Alfredo Malcarne: portualità e attività nautiche patrimonio da difendere

Portualità

04/12/2019 - 15:38

Alfredo Malcarne, Presidente della Camera di Commercio di Brindisi, è stato recentemente eletto vice Presidente dell’Unione delle Camere di Commercio di Puglia, con delega alla Programmazione Economica e alla Blue Economy. Un incarico di grande valore strategico poiché Malcarne, dal 2012, è anche il Presidente di Assonautica, emanazione dell’Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricolture, che, lo ricordiamo, è nata con lo scopo di promuovere la nautica da diporto, il turismo nautico e l’Economia del Mare. Una persona molto esperta su tematiche così specifiche, fermamente convinta del valore dell’attività associativa – è in Assonautica dal 1979 – e dunque con una visione a 360° sui vari ambiti della Blue Economy, che potrà certamente portare valore aggiunto alla propria regione.

Lo abbiamo recentemente incontrato a Roma, dove abbiamo avuto modo di affrontare assieme a lui diversi temi di quella nautica, potenziale grande risorsa per il Paese, per la cui valorizzazione Malcarne e il team di Assonautica lavorano quotidianamente.

PressMare - Quanto ha influito la crisi economica sulla realtà della nautica italiana?

Alfredo Malcarne - Inizialmente moltissimo, anche per alcune errate scelte politiche, poi sono state varate nuove norme che hanno agevolato le imprese del settore e anche gli utenti, le esportazioni sono state alte, il mercato dell’usato si è ripreso… Non stiamo certo ai livelli pre-crisi,  ma le grandi barche si vendono mentre il mercato interno è orientato verso i gommoni… Per il momento tutto sembra marciare anche se c’è la spada di Damocle di Trump sui dazi…

PM - Quali regioni italiane hanno la potenzialità per incrementare autonomamente le attività nautiche e per quali, invece, anche se la competenza è regionale, sarebbe necessaria una programmazione nazionale?

AM - Sicuramente la Toscana e la Liguria, dove le amministrazioni locali, di tutti i colori, sanno che per loro la nautica è una ricchezza da incrementare, ma anche la Campania, la Puglia, l’alto Adriatico, conoscono la passione per le barche dei loro cittadini. Molti utenti italiani fuggiti sulle coste slovene e croate, sono tornati, come anche tante barche svizzere, austriache e tedesche, alle quali si sono aggiunte le russe, le ungheresi, le slovacche… Ora il vero problema per le nostre darsene è l’abbandono della barca di molti utenti italiani ormai anche molto anziani, che non sono sufficientemente sostituiti da appassionati delle nuove generazioni…

PM - Questo è uno degli ostacoli che interferiscono con la piena ripresa della nautica, eppure molti studi economici hanno riconosciuto della massima redditività negli investimenti in essa…

AM - È vero, il settore occupa 170.000 addetti e provoca un moltiplicatore economico, compreso l’indotto turistico, di almeno 5 volte i capitali investiti. Nessun settore dell’economia reale italiana ha una performance simile, ma l’incertezza normativa sconsiglia attualmente all’imprenditore investimenti nel nostro settore. Vedi in proposito proprio in questi giorni la serrata dichiarata dalla società indiana ArcelorMittal, che ha dichiarato di voler lasciare l’ILVA proprio per il continuo cambiare delle norme. Un fattore che non assicura la certezza dell’investimento.  Specialmente finché non si applicherà - ormai fortunatamente siamo vicini, il prossimo anno - la Direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE, conosciuta come Direttiva Bolkestein, che riguarda il diritto di ogni cittadino europeo a ottenere concessioni di servizi in tutto l’ambito comunitario. Per ciò che riguarda il nostro settore, essa mette a rischio il rinnovo delle concessioni su demanio pubblico, comunale, e specialmente sul demanio marittimo. Per questo le conferme di molte concessioni, oltretutto alcune in grosse difficoltà economiche, sono a rischio. Si è intervenuti soltanto sul futuro degli investimenti nelle concessioni balneari, per il resto l’incertezza si prolunga da 12 anni, da quando è stata approvata la direttiva, con Prodi presidente CE.

PM - Quanti sono attualmente i porti turistici italiani ?

AM - 537, con più di 160.000 posti barca e con alcune migliaia di posti di lavoro. La crisi ha causato una diminuzione nelle richieste del mercato al centro nord e il calo delle imbarcazioni cosiddette “residenti” in alto Adriatico (in parte spostatesi sulla sponda opposta) e al centro sud. La riduzione dell’attività diportistica ha comportato anche la stagnazione delle tariffe stanziali e di transito, che mediamente non sono aumentate. In fatto di distribuzione dei posti barca, il Tirreno centrale è in testa alla classifica territoriale con 41.000 posti barca, seguito dal Tirreno settentrionale con 38.500 e dall’Adriatico centro-settentrionale che ne conta 30.500. Il Sud, con bassa Campania, Calabria, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Molise e Marche, è il fanalino di coda. Il dato che riguarda il Mezzogiorno non deve però trarre in inganno, pochi posti barca su una costa così lunga e preziosa, significano soprattutto mancanza di richiesta da parte dell’utenza e quindi porti turistici semivuoti, anche se di recentissima costruzione. Al sud si arriva male, mancano aeroporti e, laddove ci sono, i collegamenti internazionali sono stagionali, non svolti per l’anno, perciò lasciano a desiderare. Inoltre, mancano collegamenti con i treni veloci, le infrastrutture viarie sono incomplete e il tessuto socio-economico di livello fatica a svilupparsi.

Per questo insieme di ragioni, dei 40.000 posti barca attualmente disponibili al sud, circa la metà non è occupata. Se si somma a questa situazione critica, la questione demaniale e l’endemica difficoltà a sviluppare un modello socio economico virtuoso, tipica di queste regioni, si ottiene un quadro allarmante e si comprende il perché le strutture sono a rischio default. Abbiamo comunque un grosso patrimonio di portualità turistica e di attività nautiche da difendere e gestire, e ne diminuiamo il valore per la mancanza assoluta di attenzione, mentre l’incertezza normativa ha bloccato anche gli investimenti. Quanto sia grande il problema lo dimostra il convegno organizzato al recente Salone Nautico di Genova dal presidente Ucina, Saverio Cecchi, presente il Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti Paola Da Micheli, dove si è parlato di esecuzioni di stato contro i porti turistici.

PM - Quanti sono i porti turistici a rischio?

AM - Circa 30 dove su un totale di 16.000 posti barca, solo 3.500 sono occupati. Il disastro è la conseguenza dei danni causati dalla legge 296/2006, introdotta unilateralmente dal Governo Prodi, appunto nel 2006, che venendo meno ai termini del contratto stipulato con la concessione, ha aumentato i canoni fino a quattro volte e con effetto retroattivo. Una pazzia nella patria del diritto, anche se s’invoca l’interesse nazionale, come nel caso del mancato adeguamento delle pensioni. Alcuni porti scontano anche la mancanza di collegamenti per essere raggiunti dall’utenza internazionale sia via terra che in aereo. Ci sono porti turistici situati in posizioni strategicamente valide e praticamente con il tutto esaurito che tuttavia sono a rischio fallimento esclusivamente a causa della citata normativa. Tra questi, il Marina di Rimini è l’esempio più eclatante di quanto affermiamo, con l’Agenzia delle Entrate che ha pignorato i conti correnti del marina, nonostante le sentenze de Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale abbiano chiaramente riconosciuto l’illegittimità degli aumenti, laddove applicati alla concessioni in cui il privato abbia sostenuto integralmente la costruzione delle opere.

PM - Quali interventi pubblici propone Assonautica per riparare ai danni della legge 296/2006?

AM - Prima di tutto l’abrogazione con effetti retroattivi della legge. Poi abbiamo proposto: la revisione dei canoni demaniali futuri con tariffe aggiornate in base agli indici Istat annuali; il ricalcolo degli importi dovuti dalle aziende concessionarie allo Stato con lo scomputo delle somme versate in eccesso ed attualizzate, dai canoni futuri fino al loro esaurimento; la riduzione una tantum del 50% per 5 anni del canone di concessione demaniale dei porti riconosciuti a rischio default; l’applicazione di una normativa di differenziazione tariffaria demaniale, che tenga conto delle diverse condizioni di accesso delle strutture turistiche portuali al mercato internazionale; l’attivazione di un canone ridotto nei primi anni di nuova attività o di rilancio di attività esistenti a rischio default. Infine, l’individuazione di una procedura di riduzione automatica del canone demaniale, qualora si vengano a determinare condizioni di grave rischio economico per i concessionari, dovute a crisi economiche generali, a congiunture sfavorevoli anche locali.

PM - Ottimo. Anche perché c’è la base delle perplessità già espresse in merito dalla Corte Costituzionale. Basterebbe già abrogare la legge Prodi che ha di fatto procurato un grosso danno, non solo alla nautica ma anche alle entrate dello Stato, per sdrammatizzare la situazione.

AM - Non a caso le organizzazioni sindacali del settore, UCINA Confindustria Nautica in primis, si sono costituite di fronte alla Suprema Corte, affiancate anche da Assonautica che ha fatto le sue proposte sull’importante canale delle Camere di Commercio.

PM - E questo nonostante l’importanza assoluta di tutto il settore nell’economia nazionale…

AM - Infatti. ll fatturato complessivo del settore nautico italiano è passato dai 6 miliardi di euro del 2008 ai 3,5 del 2013 - punto di massima perdita nel decennio – per risalire ai 5 miliardi attuali; per dare la dimensione del valore del settore, circa due volte e mezza il fatturato dell’Ilva di Taranto.

Siamo passati da 605.483 barche censite nel 2009 alle circa 500.000 barche attuali, una diminuzione notevole, anche se lo zoccolo duro degli appassionati veri non si è ridotto di tanto. Di queste solamente 103.584 sono superiori a m 10, mentre delle rimanenti 400.000, la maggioranza, sono natanti. Nel complesso 350.000 sono a motore ed il resto a vela. Le barche immatricolate, quelle cioè tra m 10 e 24, sono 100.000 e di esse il 19,3% è a vela, ma rappresentano l’11% del parco vela mondiale. Ciò significa che la vela in Italia è praticata da molti appassionati e poiché molti velisti nostrani partecipano alle grandi regate internazionali anche su yacht esteri, essa è molto considerata. Delle circa 20.000 unità a vela 9.000 sono dimensionalmente nella fascia di lunghezza tra i 10 e i 12 metri, pari al 45% dell’intero specifico parco nautico. Più grandi a vela, tra i 18 e i 24 metri, sono solamente 1.200 barche. Le grandi navi da diporto immatricolate sono poche, la maggioranza, vendute in esportazione, battono la bandiera dell’armatore o di comodo sull’esempio britannico. La nostra cantieristica esporta attualmente in tutto il mondo l’80% dei suoi prodotti. I ricavi sono in crescita costante dal 2015 con percentuali a due cifre all’anno, nel 2018 la crescita è stata del 18%.

PM - Come mai manca il ricambio generazionale dei diportisti? E’ un problema economico o socio-culturale?

AM - Comprare una barca non è difficile. La passione compensa anche le difficoltà economiche. Il costo vero viene dopo, dal mantenimento sulla spiaggia attrezzata o nel porto, dal far carena, dalla scoperta di non aver soddisfatto le proprie esigenze, dalla necessità di cambiare, ma anche dal subire la cattiva stampa e spesso dall’impossibilità di seguire la corsa al più grande che puntualmente si manifesta tra parenti e amici. Ma alla base il problema può essere anche socio-culturale. La crisi delle piccole imbarcazioni è perenne, ne sento parlare da sempre, perché in fondo l’italiano non vuole la barca piccola, ma almeno media, da vivere con famiglia o amici. Molti giovani approdano al charter.

PM - Il charter e altre attività nautiche impongono a monte una seria preparazione professionale degli addetti. Assonautica può contribuire a questo marchio di serietà e affidabilità?

AM - Non ci è riuscita UCINA, è difficile se non impossibile per tutti gli altri. Assonautica cerca di dare comunque massima assistenza ai diportisti, particolarmente attraverso i circoli associati. Assonautica è sempre vicina agli iscritti e consiglia, non mancando di ricordare a esponenti politici e di governo, che se le attività nautiche si sono sviluppate in Italia, addirittura con un boom nel dopoguerra, ciò è dovuto alla sensibilità dell’imprenditoria privata che rappresentiamo, nella nautica quasi in contrasto con le necessità politiche di molti governi.

Ora le attività nautiche, che in molte nazioni marittime come la nostra sono considerate tra le più importanti, si sono ridimensionate e non solo per la crisi economica. L’Italia non sfrutta più come in passato la ricchezza di acque e coste meravigliose, una porta d’entrata anche per le iniziative imprenditoriali, che noi con le nostre crociere ogni anno proponiamo con successo, orgogliosi di aver contribuito a dare vita alla prima industria nautica nella costruzione di grandi barche da diporto, e seconda al mondo dopo gli USA nelle altre dimensioni. Sono traguardi che non vanno dimenticati e che noi sosteniamo con le nostre manifestazioni sull’Economia della mare, volte a sensibilizzare le Regioni e le amministrazioni locali a sostenere la nautica e le attività marittime.

PM - Le grandi barche che costruiamo per milionari e miliardari di tutto il mondo non rimangono in Italia, mentre dar loro assistenza costituirebbe attività assai remunerativa. Quanto fa Assonautica in proposito e quali iniziative ha preso o prenderà per convincere governo e Regioni a sviluppare tale opportunità?

AM - Siamo stati presenti in molte iniziative regionali, tese a diventare basi italiane al servizio delle grandi barche. Abbiamo provato la prima volta a Gaeta negli anni ’60 poi a Venezia prima della crisi, ma è difficile lottare contro i centri di potere locali che difendono spazi demaniali e portuali, purtroppo spesso non utilizzati a pubblica utilità, sui quali ci sono sempre grandi appetiti, specie di enti pubblici. A Venezia la VTP, con la quale collaboriamo da sempre, ci è quasi riuscita e, contrariamente al passato, ora sono numerosi i grandi yacht che ormeggiano ai pochi spazi ricavati, quando presidente del Venezia Terminal Passeggeri era l’avv. Sandro Trevisanato, diportista di lunga militanza. Gaeta, nonostante l’impegno di Vittorio Egeo Simeone, con la sua magnifica base Flavio Gioia, porto turistico d’avanguardia all’epoca, non riuscì a costituire l’alternativa italiana alla Costa Azzurra. Venezia, invece, può riuscirci, sempre che la città, in genere non favorevole a chi viene da fuori, vi investa, preferendo finalmente quel turismo ricco che vuole attraccare in città.

PM - I posti barca esistenti lungo le nostre coste in questo momento di crisi rispondono ampiamente alle esigenze dei diportisti italiani, scarseggiano invece gli scivoli e attrezzature economiche per l’accesso all’acqua delle piccole unità. È possibile un piano nazionale di scivoli e di portualità minore per i diportisti esteri e per chi non può economicamente o non vuole adire ai porti turistici?

AM - Molti porti turistici, come abbiamo detto prima, sono in crisi gestionale per ragioni economiche in conseguenza della legge Prodi, che ha inasprito eccessivamente il costo delle concessioni e si può prevedere che una parte di essi sarà cancellata con l’applicazione dalla direttiva europea Bolkestein. Molte concessioni diciamo “culturali”, come quelle di associazioni storiche e sportive, rischiano la cancellazione, altre gestioni sono insostenibili perché passive… Che cosa avverrà col 2020, data di entrata in vigore della Direttiva suddetta? Sicuramente salteranno molti posti di lavoro…

PM - Anche le stazioni ferroviarie, in crisi di redditività, rischiavano la chiusura, invece, ove possibile, sono divenute importanti centri commerciali al centro delle città. Non si può fare lo stesso con i porti, come hanno scelto anche importanti città statunitensi? Non crede sarebbe opportuno un piano d’intervento di sostegno pubblico?

AM - Sì, la grande assente è la programmazione pubblica, che oltretutto cerca da tutti gli imprenditori solo gettito fiscale, senza tener conto di esigenze di rinnovamento e sopravvivenza delle diverse infrastrutture, che con la crisi è diventato più difficile raggiungere. Le concessioni sono un contratto a tempo che il nostro Stato ha cambiato unilateralmente. E’ stato un atto di tipo brigantesco che ha cercato, ignorando il diritto, di far cassa urgentemente. Come avviene spesso da noi si è passati da un eccesso all’altro. Prima, probabilmente qualcuno pagava troppo poco, ora certamente si paga troppo e si deve porre rimedio.

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