Alberto Mancini accanto al modellino dell'Azimut S10

Alberto Mancini accanto al modellino dell'Azimut S10

Yacht designer: Alberto Mancini, passione e determinazione

Yacht Design

13/03/2019 - 09:58

Dalle prime esperienze nei più rinomati studi di design al pluripremiato Mangusta 54 metri El Leon, fino al recente e innovativo Open Azimut S10. Ecco come Alberto Mancini ha cambiato il mondo dello yacht design

di Désirée Sormani

Non poteva che diventare un progettista Alberto Mancini, yacht designer triestino, classe ’78, pluripremiato e uno dei “giovani” designer italiani attualmente più rinomati. Una strada, anzi una scia, tracciata sin da piccolo quando andava in barca a vela con i genitori. “Invece di sognare di diventare un velista, pensavo a come avrei potuto modificare il nostro ketch e renderlo più comodo, più bello”. Poi, al liceo classico, invece di concentrarsi sulle versioni di latino e greco, schizzava auto e motoscafi: “Prendevano forma in un istante, mi veniva facile”.

Dopo il diploma la decisione frequentare a Torino lo IED, scuola di trasportation design. Determinante in questo, il consiglio di Andrea Zagato (della famosa carrozzeria, ndr), amico di famiglia, di studiare nella culla del car design: Torino. Da lì con forza, determinazione e molta ambizione, Mancini si è fatto largo, si è fatto notare dagli studi più importanti dello yacht design dove ha fatto pratica vicino a figure determinanti per la sua carriera. Oggi ha uno studio tutto suo a Montecarlo e lavora per vari cantieri che amano il suo tratto aggressivo e potente come una macchina da corsa. Ecco perché.

Dal car design allo yacht design. Alberto Mancini, come com’è avvenuto il salto?

Quando frequentai lo IED, studiai in mezzo a tanti che volevano diventare dei futuri Giorgetto Giugiaro e Pininfarina. Ma sinceramente erano pochi quelli con il fuoco sacro della passione dentro. Dovevo differenziarmi dagli altri e sfruttare le mie origini marine e decisi di far confluire nello yacht design i concetti imparati nel car design: così l’argomento della mia tesi non fu un’auto, bensì una barca. Per farlo chiesi assistenza allo studio Nuvolari Lenard. Mi presentai all’esame di laurea con il modellino di un 60’ Cantieri di Sarnico, e iniziò la mia avventura.

La tesi ti ha aperto la strada dello yacht design. A chi ti sei proposto per primo come “garzone di bottega”?

Avevo una passione: i motoscafi Riva perché mi ricordavano le cabriolet e le macchine sportive di lusso. Così, subito dopo la laurea, nel 2000, chiamai Officina Italiana Design, stavano cercando un giovane da inserire nello team. Parlai con Mauro Micheli e Sergio Beretta, presentai loro un mio modellino in Riva e… mi presero. Fu un’esperienza incredibile, lavorai sul 33’ Aquariva, il 44’ Rivarama … I miei compagni ancora all’università mi guardavano come un alieno perché stavo già lavorando con i grandi della nautica.

Che cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Un patrimonio immenso: da Micheli ho appreso la bellezza delle proporzioni. La sua formazione artistica è evidente. Come sa disegnare lui a mano… non ci sono pari: è impressionante. Ricordo che mi spiegava di approcciare il disegno come fa un artista davanti alla tela e mi diceva: “Bene, ora facci sognare”.

E dopo? È vero che hai attraversato la Manica con un Maggiolone per andare a lavorare da Ken Freivok?

Sì ammetto: sono una persona molto ambiziosa e all’epoca non mi accontentavo mai. Lavoravo ancora in Officina Italiana Design e decisi di internazionalizzarmi con una nuova esperienza lavorativa all’estero. Mandai un curriculum: Ken Freivok rimase impressionato dal fatto che stavo lavorando su progetti Riva, nonostante la mia giovane età. Mi chiamò e così presi la macchina, un Maggiolone, e feci Trieste-Tichfield in compagnia di mio fratello, che una volta arrivati, mi lasciò lì nella campagna, dove c’era lo studio di Freivok e null’altro: l’inizio fu un po’ traumatico.

Che ricordi hai di quella esperienza?

Ricordo i primi incontri tra Ken e Tom Perkins, l’armatore di quello che sarebbe poi diventato il Perini Maltese Falcon: arrivò in studio su una McLaren 3posti, anche lui appassionatissimo di auto. Ken mi mise subito a lavorare su questo megasailer, che aveva tanti riferimenti del car design; mi chiese di disegnare un coffee table, nel main saloon: si apriva nella parte centrale e con un pistone elettrico usciva una Bugatti d’epoca scolpita da un artista. Ken Freivoh è una persona molto esigente ed estremamente severa: a quel tempo se non eri produttivo andavi a casa! Fortunatamente mi aveva preso in simpatia e ancora oggi abbiamo grande stima reciproca… Una volta osai sdraiarmi su una chaise longue nel bellissimo giardino che circondava lo studio… corse fuori un collega gridando: Alberto cosa fai? Non puoi!... Italiano lazy boy!... Fu un’esperienza grande, che mi fece apprendere il concetto di megayacht”.

Poi sei ritornato da Nuvolari Lenard...

Sì finita quell’esperienza rientrai in Italia, a Venezia, nel 2004 ed entrai come designer in Nuvolari Lenard. Lavorai subito su una serie di Open per il cantiere di Sarnico. Un momento importante della mia formazione perché ebbi l’opportunità di entrare nello studio esecutivo. Dopo un paio d’anni decisi di aprire uno studio con l’architetto Gobbi, che conobbi all’interno dello studio N&L, fu così che unimmo le nostre competenze e nel 2006 creammo Team for Design, da dove uscì la nuova linea Dominator tra cui il Dominator 780S che fu premiato per il suo design.

E quando la decisione di camminare veramente da solo?

Dopo tre anni, nel 2009, decisi che dovevo aprire il mio studio. Inizialmente pensavo solo agli esterni, poi mi affacciai anche agli interni. Conobbi un importante armatore a Montecarlo che mi affidò l’interior design del Baglietto Monokini: raccolsi la sfida…persi 5 chili per realizzarlo. Il progetto vinse il Compasso d’Oro (fu la prima barca dell’era Gavio).

Come AM ho lavorato anche su una serie per Magnum Marine, sull’Otam 100, e infine sui grandi progetti in acciaio e alluminio con Mangusta di cui ho curato esterni e interni sia della serie Oceano (già alla quarta unità ) che della serie Gran Sport ( l’ultimo varato, il 54 metri Gran Sport rappresenta l’ammiraglia della flotta Overmarine Mangusta).

Disegni per molti brand. Come riesci a mantenere il tuo stile e nel contempo interpretare il family feeling di ciascuno?

Non è facile.  Mi aiuta molto l’approccio da car designer: prima di affrontare un progetto studio molto la storia del cantiere, vado a cercare tutte le foto in bianco e nero, a vedere tutte le barche realizzate, anche la prima. Creo un filone e a penna rossa mi segno i caratteri madre mantenuti in ogni modello, come una sorta di linguaggio. Da lì estrapolo il DNA dei quel brand e poi lo ripropongo in chiave moderna.

Da quando e perché ti sei trasferito a Monte Carlo?

A Monte Carlo sono andato a inizio 2018. Trieste era logisticamente fuori dal circuito degli armatori e iniziava a essere un po’ scomodo. Così ho preso coraggio e ho fato il grande salto. Era un sogno nel cassetto che ho realizzato.

Il tuo primo progetto fatto del nuovo studio?

Il mio primo Azimut: un nuovo concetto di Open, l’S10. Quando mi hanno chiamato, mi hanno chiesto di stupirli, così ho preso un foglio bianco e ho stravolto l’impostazione classica dell’open da 100 piedi. La filosofia progettuale dell’S10 è legata a un concetto di vivibilità totale della vita a bordo. Si basa su tre immagini fondamentali: quella di un classico megasailer, dove il pozzetto centrale, leggermente ribassato, rappresenta il fulcro della convivialità; quella di una raffinata villa sul mare, con più livelli di terrazze che gradualmente scendono al mare; infine quella dove emerge il concetto di car design, fonte di ispirazione stilistica. Al contempo l’S10 lascia sognare come un J-Class Anni 20.

Quanti progetti hai attualmente sul tavolo da disegno?

Una decina: dai 33 piedi a oltre 60 metri.

Il car design è una delle tue maggiori fonti di ispirazione. C’è qualcos’altro che ti influenza?

Mi piace viaggiare molto. Mi affascina tutto ciò che ho intorno a me, l’architettura e l’arte contemporanea. Guardo anche i dettagli di certi edifici. Ma spesso l’ispirazione arriva dall’osservazione di altre barche. Esattamente come quando ero bambino, che mi chiedevo perché le fughe della nostra barca a vela erano fatte così.

Da piccolo volevi diventare un designer. Ora che lo sei, che cosa sogni?

Di disegnare un megasailer! Per tornare all’antico amore infantile. Spegnere i motori e navigare con il vento… eh, non ci sono paragoni, la vela ti offre emozioni uniche.

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