Porto turistico

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Contenzioso porti turistici vs Stato: il punto dell’Avv. Cristina Pozzi

Editoriale

25/04/2020 - 12:20

Nella conferenza stampa di fine anno il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha fatto esplicito riferimento alle intenzioni del governo gialloverde sull’applicazione della Direttiva europea 200/123/CE, sui servizi del mercato comune europeo, la famosa Bolkestein - dal nome del suo relatore Frits Bolkestein - di cui si discute da oltre un decennio. Solo un accenno però, chiarendo che i concessionari di spiagge saranno esentati dal rispettare le disposizioni della stessa.

Riguardo alla portualità, che ci interessa da vicino, difficile aspettarsi di sentirne menzione nel discorso del Presidente, ma indubbiamente ci attendevamo che nella Finanziaria 2019 fosse contenuto quell’emendamento che chiudesse a stralcio il contenzioso ultradecennale tra porti turistici e Stato, avverso all’aumento dei canoni demaniali decisi dalla Finanziaria 2007 del Governo Prodi. Assurdamente equiparando le concessioni demaniali dei porti turistici a quelle delle spiagge, servizi assolutamente diversi per finalità e impegno sul piano amministrativo, quel governo aveva profittato dell’occasione per cancellare le normative esistenti e incentrare le nuove sui canoni, aumentandoli fino al 400%. Oggi l’Agenzia delle Entrate quegli aumenti, quei soldi li vuole tutti con l’applicazione retroattiva delle tariffe, mentre i porti turistici, rappresentati da UCINA e Confcommercio, hanno proposto aumenti fino al 70% per sanare la situazione. Soluzione perorata dalla Lega che ne ha fatto un emendamento parlamentare, ma evidentemente avversata dall’altra parte del Governo e per questo non incluso nella Finanziaria.

Si è così creata una situazione critica perché oltre a 25 aziende concessionarie di porti turistici, che rischiano il fallimento a causa di cartelle esattoriali milionarie, nella vicenda sono coinvolti circa 2.200 lavoratori a rischio occupazione, che operano direttamente o indirettamente in quelle strutture, e tutti i titolari dei posti barca che, con il default dei marina e il conseguente decadimento delle concessioni, perderebbero anche il diritto a utilizzarli, fino all’assegnazione della nuova concessione.

Per cercare di capirne di più dal punto giuridico, abbiamo cercato di fare luce chiedendo a un esperto, Cristina Pozzi - avvocato marittimista, Professore di Diritto comunitario dei trasporti J.M. nell’Università di Parma - un parere sulla vicenda che di seguito riportiamo.

Il dibattito politico circa la questione dell’entità dei canoni dei porti turistici non è ancora approdato all’individuazione di una soluzione per la risoluzione dei contenziosi esistenti.

In attesa delle determinazioni che potranno essere adottate con gli atti di prossima emanazione, anche in considerazione della più recente giurisprudenza, proveremo a fotografare, sotto il profilo giuridico, l’attuale stato dell’arte.

Nel corso del 2017 con la Sentenza n. 29 la Corte costituzionale aveva preso posizione - in verità nuovamente - sulla determinazione quantitativa dei canoni delle concessioni demaniali marittime.

Il giudizio riguardava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui determinava – anche con riferimento ai rapporti concessori in corso – la misura dei canoni per le concessioni di beni del demanio marittimo per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto.

La norme era stata censurata con riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, nonché per violazione del principio del legittimo affidamento: in altri termini, la previsione dell’incremento del canone anche per i rapporti concessori in corso – e dunque non solo ai nuovi rapporti - comportava, a parere del Giudice remittente, un inevitabile e consistente squilibrio economico sulla concessione e sugli investimenti connessi; sotto altro profilo, l’applicazione degli aumenti previsti per le concessioni a uso turistico-ricreativo anche alle concessioni per strutture legate alla nautica da diporto, avrebbe costituito una sperequazione, vista la differenza tra le stesse (le concessioni relative alle attività turistico-ricreative, sono molto più numerose, comportano investimenti più contenuti a carico del concessionario e sono connotate da canoni di importo modesto).

La violazione dell’art. 41 della Costituzione si sarebbe evidenziata, invece, per il fatto che scelte imprenditoriali anteriori alla legge in esame, sarebbero state irragionevolmente frustrate dalla legge sopravvenuta, che modificava anche i rapporti contrattuali in corso.

La Corte costituzionale si è pronunciata sancendo la piena costituzionalità della norma censurata, ribadendo di ritenere che la commisurazione del canone al valore di mercato, costituisce un elemento di novità che trova la propria rationel perseguimento di obiettivi di equità e razionalizzazione dell’uso dei beni demaniali.

Gli elementi a sostegno di questo approccio erano già stati ampiamente illustrati dalla Corte in una precedente pronunzia del 2010 (Sentenza n. 302), intervenuta a sancire la legittimità dei canoni delle concessioni demaniali per attività turistico-ricreative.

Gli interventi legislativi effettuati, secondo la Corte, avevano lo scopo di consentire allo Stato una maggiorazione delle entrate e di rendere i canoni più equilibrati rispetto a quelli pagati in favore di soggetti privati, peraltro incidendo sulle aree maggiormente produttive di reddito, cioè quelle su cui insistono pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi.

La Corte aveva anche ribadito come gli interventi che si sono susseguiti nel tempo avrebbero dovuto essere ritenuti probabili da parte degli operatori, essendo stati effettuati, progressivamente, in tutti gli ambiti concessori demaniali.

Nella propria pronuncia, per quanto qui di interesse, con riferimento alla categoria delle concessioni di beni del demanio marittimo per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, la Corte ampliava la propria decisione, indicando l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma controversa.

Al fine di evitare un’applicabilità, generale ed indifferenziata, dei canoni commisurati ai valori di mercato a tutte le concessioni di strutture dedicate alla nautica da diporto rilasciate prima della entrata in vigore della disposizione in esame, la Corte riteneva necessario suddividere chi avesse realizzato a proprie spese un’infrastruttura o un impianto di difficile rimozione, da chi, invece, avesse ricevuto in concessione un bene su cui insisteva una struttura già realizzata da terzi.

La commisurazione del canone doveva, dunque, essere parametrata alle concrete caratteristiche dei rapporti concessori, nonché dei beni demaniali ivi insistenti.

I criteri di calcolo, in quanto riferiti alle opere realizzate sul bene e non solo alla sua superficie, risultano applicabili oggi, quindi, soltanto a quelle che già appartengano allo Stato e che già possiedano la qualità di beni demaniali all’atto del rilascio della concessione.

Nelle concessioni di opere da realizzare a cura del concessionario, ciò potrà avvenire solo al termine della concessione, e non già nel corso della medesima.

In ragione di tale interpretazione per le concessioni che prevedono la realizzazione di infrastrutture da parte del concessionario, il pagamento del canone riguarda soltanto l’utilizzo del suolo e non anche i manufatti, sui quali medio temporeinsiste la proprietà superficiaria dei concessionari e lo Stato non vanta alcun diritto di proprietà.

Dunque, la Sentenza, pur non innovando nel principio generale che ormai può dirsi consolidato, ossia che l’adeguamento del canone concessorio a valori di mercato, è da ritenersi pienamente costituzionale, ha tuttavia aperto la strada ad un’applicazione mitigata ai rapporti concessori in corso, soprattutto a quelli con investimenti da realizzare e, quindi, con maggiore impatto economico.

Proprio in applicazione di tali principi si è mossa la giurisprudenza amministrativa che si è conformata a tale interpretazione, andando a ridurre in modo consistente gli importi che erano stati ipotizzati a carico dei concessionari.

Così, a titolo esemplificativo, nel caso riguardante la Marina di Portisco il Tar Sardegna ha accolto la domanda cautelare, sospendendo il provvedimento con cui era stato comminato il pagamento di un canone demaniale di consistente rilievo, ribadendo come lo stesso dovesse essere ricalcolato sulla base dei principi sanciti dalla Sentenza della Corte Costituzionale, impedendo altresì l’avvio del procedimento di decadenza dalla concessione che avrebbe potuto conseguire alla mancata corresponsione del canone originariamente previsto.

Analogamente, più recentemente, decideva il Tar Toscana nei ricorsi riuniti promossi da Marina di Cala de’ Medici a favore della ricorrente, con identica disposizione di rideterminazione dei canoni.

Molto interessante, appare, poi, la recentissima Ordinanza cautelare del Tribunale di Rimini, relativa alla ormai nota vicenda del porto turistico Marina Blu, oggetto di una cartella esattoriale di importo rilevantissimo.

Il Tribunale, ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario, ha ribadito come la costruzione e gestione di un porto turistico debba essere ascritta alla nozione di opera pubblica destinata a servizio pubblico economico e, quindi, non alla concessione di beni demaniali marittimi ma alla concessione di lavori pubblici.

Il corrispettivo, in conseguenza, non deve essere determinato mediante applicazione di tariffe unitarie predeterminate ma in base a criteri che assicurino il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti del concessionario, come previsto attualmente dall’art 143 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), e, nel testo vigente all’epoca della sottoscrizione del contratto, dall’art. 19, comma 2 e seguenti della legge 109/1994.

Possiamo dunque concludere che, fermi restando interventi di riordino della normativa, certamente auspicabili per esigenze anche di ordine sistematico, allo stato la giurisprudenza sembra operare nel senso della attenta considerazione delle istanze dei porti turistici, con maggiore considerazione del valore industriale e produttivo degli stessi.

Secondo quanto contenuto nella Finanziaria 2019, nelle more della revisione globale del demanio marittimo, che sarà effettuata attraverso un’analisi accurata dell’attuale mercato per introdurre nuovi modelli gestori, un numero molto elevato di concessionari delle spiagge avranno una proroga di 15 anni senza che vengano effettuate gare per le concessioni in scadenza, come richiesto invece dalla Bolkestein, e non verranno cambiati neanche gli attuali canoni pagati allo Stato, a tutela del legittimo affidamento operato.

Il nostro commento

Il problema delle concessioni demaniali per i servizi è oggetto di discussione dal 2006, da quando il Parlamento Europeo ha approvato, col nostro voto favorevole, la Direttiva 2006/123/CE. L’Italia, poi, di fatto, non si è adeguata, prendendo tempo con rinvii politici - cui si è aggiunta spesso l’incompetenza giuridica dei nostri governanti rispetto alle decisioni espresse dall’UE, che ha ancor più ingarbugliato la matassa - per altro mal digeriti da Bruxelles, lasciando che a decidere in materia di Bolkestein, a intervenire sul bubbone, toccasse sempre a qualcuno dopo. Così il gonfiore è cresciuto fino a oggi, quando, applicando retroattivamente nella portualità turistica quanto vergato dal governo Prodi, si è fatto un tumore che rischia di seppellire il settore.

Uno degli argomenti a favore della Direttiva Bolkestein era che l'aumento dell'occupazione e della produttività legati alla liberalizzazione dei servizi in Europa, avrebbe portato ai lavoratori vantaggi di gran lunga superiori agli svantaggi. Al momento da noi abbiamo riscontrato solo svantaggi e in particolare nella nautica, settore per il quale, a questo punto, un intervento da parte della politica è divenuto improcrastinabile. La nautica e il turismo a essa connesso, per il quale i porti turistici sono fondamentali, rappresentano un asset nel quale lo Stato non ha mai creduto. È ora che lo faccia, partendo proprio da questo momento cruciale, risolvendo questa delicata questione dei canoni demaniali per i porti turistici. Nessuno chiede un colpo di spugna ma una soluzione ragionevole.

Per quel che riguarda il demanio balneare, le concessioni agli stabilimenti, dopo che la questione negli anni sia stata anche lì rimbalzata di governo in governo, finalmente l’attuale maggioranza ha preso una decisione in materia, per altro molto favorevole al settore.

Secondo quanto contenuto nella Finanziaria 2019 – scrive l’Avv. Pozzi – un numero molto concessionari delle spiagge avranno una proroga di 15 anni senza che venga effettuata una nuova gara pubblica per le concessioni in scadenza, come richiesto invece dalla Bolkestein, e non verranno cambiati neanche gli attuali canoni pagati allo Stato, a tutela del legittimo affidamento operato.

Speriamo che il Governo dimostri subito altrettanta sensibilità per i nostri porti turistici e quindi verso il turismo nautico, una risorsa ancora lungi dall’essere stata utilizzata per il bene del Paese.

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