Barche nel porto di Viareggio

Barche nel porto di Viareggio

La nautica in Italia, uno strano paese

Editoriale

02/01/2019 - 18:01

Come conseguenza della lunga crisi attraversata dal paese, oggi esistono due distinti mercati di barche. Uno, abbastanza brillante finora, dell’Italia che ha ripreso a lavorare, l’altro, pur abbiente, che nonostante la passione per questo impiego del tempo libero, scottato da precedenti esperienze di contrasto politico, rimane riflessivo: visita i saloni nautici, s’informa specialmente delle novità tecniche, ma preferisce ancora rinviare ipotesi d’acquisto. Complessivamente parliamo dell’interesse del 4-5% della popolazione e su un paese con i celeberrimi 8.000 km di coste è certamente poco, anche se è indiscutibile, ancestrale, l’interesse delle popolazioni costiere per utilizzare anche nel tempo libero il loro ambiente naturale, il mare. E questo pure nelle regioni meridionali, le più indietro nello sviluppo civile nazionale, dove ogni conquista sociale arriva sempre con molto ritardo. Una volta il mare significava ricchezza, perché da esso derivavano vita e lavoro. Oggi per il mare è rimasta solo la passione, perché venuta meno l’attenzione nazionale, che non a caso riscopre la nautica solo nei momenti politici ed economici più negativi, quasi istigando una repulsione per l’andar in barca, attività che quando eravamo poveri almeno non costava niente.

Ma lo Stato, appunto quello con la S maiuscola, ha pensato bene di investire diversamente i suoi quattrini e considerati i risultati – siamo il secondo paese più industrializzato d’Europa dopo la Germania - neanche gli si può dar torto, ma i nostri mari, le nostre coste restano comunque una ricchezza disponibile, assurdamente non utilizzata in un momento difficile. Eppure sempre una recente indagine ha ricordato che la nostra industria nautica è la maggiore, la più importante al mondo, nonostante sia minimo il mercato nautico interno. In questo momento i nostri governanti devono risolvere la palese incompatibilità di alcuni loro obiettivi con le possibilità economiche del Paese e tutto è condizionato dalla propaganda a volte rumorosa per le prossime elezioni politiche europee. Eppure, nell’Assemblea annuale dei soci tenutasi la scorsa settimana a Roma, UCINA ha cercato di indicare alcune linee guida per l’economia del mare, valide anche in senso generale. Se però Cinque Stelle e Lega non avviano un chiaro programma politico per il settore, uno dei pochi sani, dove da sempre c’è l’iniziativa privata come disponibile investitore, “Competere con il mondo, confrontarsi con l’Italia, l’Industria nautica traccia la rotta” – questo il tema della tavola rotonda della parte pubblica dell’Assemblea di Confindustria Nautica - diventerà sempre più difficile. E’ vero che il settore vive da decenni di esportazioni, ma se il mercato mondiale dovesse flettere, tutto potrebbe diventare più difficile. C’è però una realtà relativamente costosa che può aiutarci: valorizzare finalmente le nostre coste, i mari, grande richiamo per tutti gli europei e non solo. Ma è necessaria la consapevolezza pubblica dell’opportunità politica ed economica di lasciare tale compito alle regioni e ai comuni, magari partendo da quei terribili depuratori non funzionanti (o addirittura inesistenti) per i quali da decenni siamo multati dalla UE.

Purtroppo, stando alla Finanziaria 2019, riguardo il valore delle nostre coste e della nautica, la consapevolezza pare proprio non albergare in chi ci governa, oggi come ieri. L’emendamento parlamentare che avrebbe chiuso a stralcio i contenziosi di 25 porti turistici con lo Stato - riguardano l'applicazione retroattiva dell'aumento fino al 400% dei canoni demaniali, fissato dal governo Prodi nel 2006 - non è stato inserito nella Manovra. Un’esclusione che mieterà oltre 2.000 vittime a livello occupazionale, perché i suddetti porti, le società che li gestiscono, probabilmente falliranno, con ripercussioni sull’intero settore del diporto, del suo sviluppo, ancora una volta colpevolmente dimenticato.

Sarebbe anche molto importante, fondamentale, come ha indicato la presidente UCINA, Carla Demaria, sviluppare l’impresa 4.0 “che non è un’opzione ma una condizione di sopravvivenza”, e come chiedono tutti gli imprenditori, costruire le infrastrutture di comunicazione, ma anche quelle di trasporto e viarie avversate da una parte della maggioranza, realizzando finalmente quelle informatiche di cui tanto si parla ma ancora in ritardo perché vittime di troppi appetiti.

Infine, forse la più importante, desistendo da una realtà che rimane viva nella pubblica amministrazione, quella di asfissiare fiscalmente investitori e operatori e dimenticare gli interessi pubblici per quelli locali. Teniamoci stretto il concetto dell’Europa, altrimenti l’atavica e sempre viva ingordigia tedesca finirà per materializzare nuovamente assurdi spettri di guerra, ma per cortesia al Parlamento Europeo, a discutere di leggi e norme, mandiamoci gente preparata.

Il Senatore pentastellato Gianni Pietro Girotto, Presidente Commissione Industria del Senato, durante l’Assemblea UCINA a questo proposito ha ammesso che la nostra rappresentanza al Parlamento Europeo in passato si è contraddistinta per la pochezza, l’impreparazione a trattare temi specifici e di primaria importanza per lo sviluppo del Paese. In questo modo si è lasciata innanzi tutto proprio ai tedeschi ma anche a olandesi, francesi ecc. la facoltà di emanare leggi europee a sé favorevoli, che non hanno trovato alcun contrasto in quelle nazioni che oggi le subiscono negativamente. Un esempio su tutti è la famigerata “direttiva Bolkestein” riguardante il demanio, passata, sempre nel 2006, senza battere ciglio con la complicità di nostri parlamentari “ignoranti & ignavi”.

Per governare serve gente preparata, un’ovvietà che nel nostro strano paese, purtroppo, ancora non è stata ben compresa.

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