Guido Cavalazzi, il signore delle vele racconta

Guido Cavalazzi, il signore delle vele racconta

Guido Cavalazzi, il signore delle vele racconta

Storia e Cultura

19/08/2017 - 18:51

Dai consigli su come scegliere una vela nuova ai racconti della Coppa America. Guido Cavalazzi ci accompagna in un viaggio tra vele e velai, alla scoperta di un mestiere e dei suoi segreti.

Che mestiere il velaio. Un po’ artigiano, un po’ ingegnere, un po’ “pensatore”: è colui che alimenta la nostra passione fornendoci quegli strumenti che si chiamano vele, il motore delle nostre barche. Guido Cavalazzi è uno dei “padri” di questo mestiere, nonché una delle memorie storiche delle sfide italiane in Coppa America. Da Azzurra a Luna Rossa, Cavalazzi (storico disegnatore della North Sails) ha visto passare diverse generazioni di vele e di velisti. Dagli studi per la Coppa alle “barche per tutti”, il “Signore delle Vele” vi racconta come è cambiato il suo lavoro fornendovi anche alcune dritte molto utili e spiegando come il velaio sia ancora un punto di riferimento per consigliare le soluzioni migliori per ogni barca e per ogni velista.

Come è cambiato il vostro mestiere negli ultimi 30 anni?

“Possiamo idealmente dividere la storia del nostro lavoro considerando come spartiacque gli anni ’70, o meglio la fine di quel decennio. Prima degli anni ’70 la novità più grossa è stata l’avvento del poliestere che ha sostituito lino e cotone: ha caratteristiche simili ai due materiali che l’hanno preceduto, ma non marcisce e quindi dura. Fino al ’77-78 non ci sono state grandi novità, poi sono state introdotte le fibre aramidiche, il kevlar in primis. Il periodo era quello della preparazione della Coppa America con Azzurra, che infatti iniziò il programma vele col dacron per poi introdurre il kevlar. I primi esperimenti furono le vele in kevlar cucite con ferzi orizzontali: vele molto più performanti, rigide, ma al tempo stesso delicatissime e sensibili al sole. Da quel momento in poi l’evoluzione è stata continua, fino alle membrane monopezzo che vediamo all’opera oggi”.

In che modo le regate hanno influenzato la crociera e quanto sono migliorate le “vele per tutti” negli ultimi anni?

“L’influenza è stata notevole e costante. Tantissime soluzioni che oggi utilizziamo abitualmente sulle barche da crociera (e migliorano la vita a bordo) arrivano dagli studi e dalle sperimentazioni fatte nel mondo delle regate, in particolare da quelle oceaniche e dalla Coppa America. Penso agli avvolgitori, alle stecche lunghe, alle rande full batten con i carrelli, a quelle allunate o square top, soluzioni che oggi vediamo abitualmente anche su barche da crociera ma hanno richiesto studi e sperimentazioni applicati alle regate. Lo sviluppo tecnologico parte sempre dalle regate e negli ultimi 20 anni ha consentito alle vele da crociera di migliorare molto in termini di affidabilità e performance. In crociera adesso abbiamo vele meno pesanti, più facili da regolare e con avvolgitori efficienti. Ciò ci permette di andare in crociera con un inventario ridotto: basta una randa e un buon genoa avvolgibile, che ci consenta di affrontare diverse condizioni, e possiamo già navigare. Se poi ci aggiungiamo una trinchetta o una tormentina, un Code Zero e un gennaker, con un totale di sole cinque vele possiamo andare praticamente ovunque divertendoci anche”.

Le vele avvolgibili che oggi utilizziamo in crociera sono uno degli esempi concreti di come la tecnologia da regata diventi successivamente “per tutti”. Gli avvolgitori sono stati sviluppati per le regate oceaniche. Foto Matteo Reboli/North Sails

Che domande dovrebbe farsi un armatore, e quali dovrebbe fare al velaio, prima di acquistare delle vele nuove?

“Tutto parte da una cosa: l’armatore deve avere le idee chiare e dire che ha in mente, quali programmi e cosa gli piacerebbe fare con la sua barca. Navighi a lungo in crociera? Usi la barca solo per due settimane l’anno? Fai regate a bastone o d’altura? Queste sono le domande fondamentali da porsi ed è quello che va detto al velaio di fiducia”.

Che domande dovrebbe fare un velaio all’armatore che vuole acquistare delle vele?

“Sicuramente quelle descritte sopra sono delle buone domande che deve porre anche il velaio. Ma noi dovremmo anche fare qualcosa di più. Dovremmo essere anche un po’ “psicologi”, capire l’armatore e sapere proporre la soluzione giusta per la sua barca e le sue esigenze. Ma c’è di più, se quanto detto va benissimo per il mondo della crociera non basta per quello delle regate. In quest’ultimo caso oltre che il confronto con l’armatore va fatta una riflessione con l’equipaggio. Il velaio dovrebbe parlare con il tailer e capire in che modo regola le vele, chiedergli cosa si aspetta da una determinata vela. Progettare una vela slegandola completamente dagli uomini che la utilizzeranno è il presupposto per fare un lavoro sbagliato”.

Oggi una randa full batten è una cosa normale. Le prime arrivarono in Coppa America e furono tantissime le stecche rotte prima che la tecnologia approdasse ad un livello di controllo che consentisse l’applicazione su larga scala anche al mondo della crociera. Foto Matteo Reboli/North Sails

Le caratteristiche fondamentali di una vela da regata e quelle di una vela da crociera?

“La vela da regata deve essere veloce, veloce e poi ancora veloce (ride ndr). Scherzi a parte, deve garantire velocità, ma essere anche facile da regolare e reattiva (capace di rispondere ad ogni micro variazione delle regolazioni). La performance finale è la combinazione di questi fattori. La vela da crociera invece deve essere durevole, affidabile e perché no anche performante, le barche a vela devono andare a vela. Ovviamente il concetto di performance è differente: per il crocierista significa una vela sicura e che faccia navigare bene la barca, per il regatante la performance invece si tramuta in gradi all’orza durante una bolina o alla poggia durante la poppa”.

Come potremmo oggi definire un buon velaio? Che competenze dovrebbe avere?

Un buon velaio prima di tutto dovrebbe avere buon senso. Se poi è anche un ingegnere, magari aerospaziale, il mix è perfetto. A ciò va aggiunta la curiosità e l’osservazione, due componenti fondamentali del nostro mestiere, per questo motivo è importantissimo passare molto tempo in barca, per capire e studiare: capire come la barca reagisce ad una raffica, osservare come il timoniere si adatta e magari prendere in mano una scotta per ricevere in diretta le informazioni che ci servono.

Ci incuriosisce il buon senso del velaio, a cosa si riferisce?

A cosa serve il buon senso? A capire come equilibrare le performance di una vela con la facilità ad essere regolata. E’ inutile progettare una vela ultra performante ma nervosa se a condurla sarà un solitario o un equipaggio in crociera. Una delle componenti che definiscono la qualità di una vela è anche la sua facilità di utilizzo, una cosa a cui dobbiamo prestare sempre massima attenzione, trovando anche il giusto compromesso tra ciò che spinge (le vele per l’appunto) e ciò che frena (la parte immersa della barca). Aria ed acqua sono entrambi due fluidi, ma si comportano in maniera differente, trovare il giusto compromesso tra tutti questi fattori è la vera bravura del velaio.

Che velaio è oggi Guido Cavalazzi?

Oggi disegno vele per le barche classiche. Quando nel 2007 si concluse l’esperienza con Luna Rossa a Valencia la North Sails era cambiata. Si affacciava al mestiere una nuova generazione di disegnatori, giovani ingegneri, perfetti per lo sviluppo delle membrane e delle vele composite. Allora mi hanno chiesto se volevo disegnare il dacron per le barche classiche: fantastico ho detto! Il dacron è il mio mondo, già negli anni ’70 disegnavo vele da regata in dacron. Si tratta del materiale più semplice che si usi per le vele, ma in realtà la sua progettazione è piuttosto complessa. I materiali moderni garantiscono una forma molto stabile, il dacron no. Già dal primo utilizzo la vela inizia a cambiare forma, la sfida per chi disegna vele in dacron è notevole: devi calcolare l’allungamento del materiale, come cambierà la forma, e disegnare la vela partendo da un profilo più magro che poi nel tempo muterà. Si tratta di un progetto piuttosto complesso. Sono tornato indietro di 30 anni, come una seconda giovinezza e me la sto godendo.

La Coppa però è stata una parte importantissima della sua carriera…

Le due Azzurre (1983-1987), il Moro di Venezia (1992), Young America (1995), le tre Luna Rossa (2000-2003-2007): si, la Coppa significa molto per me. Ho anche un curioso primato: posso dire di avere “partecipato” tre volte all’AC match, alla Coppa America vera e propria: il Moro e Young America a San Diego, Luna Rossa ad Auckland, ma ho sempre perso.

Che idea ha dell’ultima Coppa?

L’ho seguita. Io trovo questi catamarani staordinari. Dal punto di vista del velaio invece è diverso: con l’ala e la mancanza di vele da andature portanti i velai sono stati un po’ tagliati fuori. Pensate che ai tempi di Azzurra, del Moro ma anche di Luna Rossa, ogni sindacato aveva la sua veleria. Ricordo che a quei tempi non si spegneva mai la luce nel capannone dove sviluppavamo o riparavamo le vele, era un lavoro incessante. Durante una campagna di Coppa il mio lavoro era anche quello dello sviluppo: ricordo che a Valencia nel 2007 per la semifinale contro Oracle tirai fuori degli asimmetrici che riuscivano ad andare più poggiati e più veloci di quelli che usavamo in precedenza. Era questo il lavoro dei velai in Coppa e credo si sia perso. Come molti appassionati sono contento che abbiano vinto i kiwi. Penso che i neozelandesi possano dare una ripulita alla Coppa: non è una questione di barche, ma di impostazione sportiva e quella di Oracle è stata pessima. Ritengo anche che reintrodurre alcuni vincoli come quello di nazionalità per barca ed equipaggio sia salutare.

Le manca lavorare in un sindacato alla caccia della Coppa?

Sono cambiate tante cose. Molto dipende dalle barche future. Certo, se Luna Rossa chiamasse…

Chi è Guido Cavalazzi

Classe 1953, nato a Milano, Guido Cavalazzi è stato il velaio delle sfide italiane, e non solo, in Coppa America: da Azzurra a Luna Rossa passando per il Moro di Venezia e dall’esperienza con il defender Young America a San Diego nel 1995. Per il Moro disegnò le prime vele in carbonio, quando ancora l’utilizzo di questo materiale era un’incognita. Le sue vele hanno corso tre volte la Coppa America vera e propria, 1992, 1995 e 2000 senza mai riuscire a vincerla. In compenso nel suo lavoro di velaio può vantare importanti risultati internazionali, svariati titoli mondiali ed una Admiral’s Cup. Dopo i dieci anni con Luna Rossa (1997-2007) è rientrato in North Sails come disegnatore delle vele in dacron per le barche classiche.

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