Red Bull Foiling Generation 2015

Red Bull Foiling Generation 2015

Barche con le ali per volare sull’acqua

Sport

13/10/2017 - 15:26

Per i puristi dell’America’s Cup la storia delle ultime edizioni e soprattutto delle ultimissime vicende, che hanno portato Patrizio Bertelli e il suo Team Prada Luna Rossa ad abbandonare la prossima sfida per la conquista della Vecchia Brocca, hanno stravolto lo spirito della regina delle regate. Peraltro, a onor di cronaca va ricordato che dal 1851, anno della prima edizione di quella che inizialmente fu la Coppa delle cento ghinee, per motivi di rivalsa storica la regata ha avuto un’importanza di prestigio nazionale negli States e in Inghilterra.  Grazie alla possibilità lasciata al defender, già prevista dalle regole iniziali, di scegliere le caratteristiche delle imbarcazioni della sfida successiva, la competizione è stata vissuta spesso a colpi di scartoffie e cavilli fra avvocati, opportunità di cui si sono avvalsi quasi sempre gli statunitensi.  E la disputa si è accesa cinicamente anche in questa edizione. Già gli Americani erano passati ai catamarani, ma ora che anche di questo settore stavano perdendo il controllo, hanno scelto una formula più piccola e difficile, nella quale da decenni sono leader mondiali, mettendo in secondo piano tradizione e lealtà sportiva. Tuttavia, quando i fumi delle violente battaglie forensi si sono diradati, qualcosa di buono sembra sia comunque scaturito. La nuova formula di Coppa introdotta, basata sui multiscafi full foiling, dotati cioè di ali sommerse e grazie a queste letteralmente in grado di volare sull’acqua, renderà mediaticamente e soprattutto televisivamente molto attraenti le prossime regate. Le classi America’s Cup – gli AC45 piedi delle regate del circuito delle “Challenge Series”, che hanno portato alla finale di San Francisco del 2013; gli AC 72 piedi che invece sotto il Golden Gate hanno dato vita a una delle edizioni più incerte e spettacolari di sempre – hanno portato a conoscenza di molti appassionati e non, un nuovo modo di andar per mare, dove oltre alle capacità canoniche dei lupi di mare, per sfruttare appieno le potenzialità degli scafi, agli equipaggi sono richieste doti di forza, agilità, equilibrio e self control, degne dei funamboli. Un mix di tutto ciò è quel che serve per portare al limite gli AC, delle vere e proprie Formula 1 della vela, catamarani molto complicati da gestire, ma capaci di sfoderare prestazioni monstre,  per i quali è difficile immaginare un solo componente costruttivo che non sia hi-tec. Dagli scafi al sartiame, dall’albero alle vele, con l’immensa randa rigida a profilo alare, alle appendici sommerse, quindi timoni e derive, tutto è realizzato in carbonio, frutto di un micidiale e costosissimo processo di progettazione, costruzione, accoppiamento e tuning, per mettere a punto l’insieme che ne scaturisce. Proprio le parti immerse delle imbarcazioni, particolari che già negli scafi convenzionali rivestono un’importanza primaria ai fini delle performance, su questi e sugli altri bolidi full foiling, assumono una valenza ancor più determinante, utilizzando lo stesso principio che fa decollare gli aliscafi. Sono proprio le derive, con la loro particolare forma a “J” più o meno accentuata, che al crescere della velocità consentono ai catamarani di Coppa America di sollevarsi dall’acqua, riducendo drasticamente la resistenza idrodinamica all’avanzamento e, quindi, dando modo di raggiungere performance inimmaginabili con una barca a vela normale, ma alla portata di pochissimi anche se sullo scafo ci sono i motori. Parliamo di velocità fra i 40 e i 50 nodi, raggiunte con soli 15, 20 nodi di vento reale. Quasi 100 km/h sull’acqua, adrenalina pura, una follia sportiva con un elevato livello di pericolosità, che ha trasformato gli equipaggi anche sotto il profilo dell’abbigliamento: caschi e protezioni alla stregua di giocatori di football americano.

L’America’s Cup ha dunque portato le “barche volanti” nei televisori e quindi nelle case del grande pubblico, ma i classe AC non sono né gli unici né tanto meno sono stati i primi scafi di questo genere. I più attivi nella sperimentazione dell’uso di foil sommersi sulle barche a vela sono stati i francesi, capitanati da uno dei navigatori più importanti. Il mitico Eric Tabarly alla fine degli anni ’70 si fece costruire il trimarano “Paul Ricard”, che utilizzava un’ala centrale sommersa e derive laterali inclinate, col quale batté il record nella traversata dell’Atlantico a vela. Per il tempo fu un multiscafo innovativo ma visto alla luce di certe barche da record di oggi, della loro complessità, fa quasi sorridere per la sua essenzialità. Un pezzo di storia e niente più, innanzi tutto per il materiale con il quale era costruito, l’alluminio, da un po’ soppiantato dalla fibra di carbonio e dai materiali compositi.

Poi fu un altro multiscafo volante a far parlare di sé, il trimarano “Long Shot”, che mescolando la tecnologia dei foil con l’essenzialità di strutture e armamento – prendeva vento grazie a due semplici vele steccate, da windsurf, montate sugli scafi laterali – toccò i 43,55 nodi di velocità.

Arrivando a tempi più recenti, non possiamo esimerci dal citare gli Hydroptere, ancora trimarani, sempre francesi. A idearli un discepolo di Tabarly, Alain Thébault che, sulla scorta dell’esperienza del Paul Ricard e di altri prototipi realizzati dall’amico Eric, dal 1994 in poi costruisce una serie di full foiler che portano quel nome, con i quali stabilisce una serie di record di velocità mozzafiato. Nel 2005, innanzi tutto ne batte uno su una distanza classica ed emblematica per i francesi, la Dover-Calais, 19 miglia divorate in 34 minuti e 24 secondi, alla velocità media di 33 nodi. Nel 2007 fa suo quello sui 500 metri, omologato per scafi di categoria D dal World Sailing Speed Record Council (WSSRC), percorsi a 44,81 nodi, e quello sul miglio, 41,69 nodi. Limiti infranti già l’anno dopo - 46,88 nodi sui 500 metri e 44,81 sul miglio - quando Hydroptere diviene anche la prima barca a vela a infrangere il muro dei 50 nodi di velocità per poi andare anche oltre la soglia dei 100 km/h, 104,26 per l’esattezza, ponendo il limite a 56,3 nodi.

Una barca e una serie di prestazioni che hanno avuto il merito di dare ulteriore fama al concetto dei foil, stimolando innanzi tutti i progettisti nell’ideare scafi che consentissero di andare ancora oltre quei limiti – oggi il record assoluto di velocità per una barca a vela è di Vestas Sailrocket 2, un bolide estremo che ha raggiunto 65,45 nodi, 121,21 km/h – ma anche di utilizzare quella soluzione e quel principio idrodinamico su scafi di grande diffusione. Foiler Moth, Flying Phantom, RS600, C-Class, Nacra 17 (classe olimpica che debutterà a Rio 2016) sono solo alcuni dei progetti che stanno avendo diffusione sempre maggiore nei circoli velici di tutto il mondo, senza poi contare tutta la lunga sequela di prototipi che piccoli costruttori, politecnici e studi di progettazione stanno realizzando con un unico obiettivo: proporre barche divertenti, velocissime, funamboliche, capaci di sfruttare le ali. Derive “fisiche”, per chi è prestante, ha riflessi prontissimi e non ha paura a lanciarsi in bordi a perdifiato, ma soprattutto derive che stanno appassionando sempre più le nuove leve, i giovani, proprio per le emozioni, per il divertimento che sanno regalare. Basta aver assistito a una delle diverse manifestazioni che vedono regatare questi nuovi bolidi – ad esempio la Foiling Week, sul Garda, dal 4 al 6 luglio, oppure la tappa italiana del RedBull Foiling Generation, ancora sul Garda, dal 10 al 12 luglio - e rendersi conto di quanto siano attrattive per i ragazzi. Ma la foilmania è trasversale, la voglia del mix acqua, vento e adrenalina è inarrestabile e si sta diffondendo un po’ fra tutti gli appassionati velisti, a prescindere da cosa utilizzano per andar per mare. Per chi naviga con uno yacht è già possibile trovare il primo catamarano da crociera full foiling, il G4 Gunboat , oppure per chi preferisce sentire il vento fra le mani e va col windsurf o col kitesurf, ci sono diverse aziende che producono kit di ali da installare sotto le tavole in grado di trasformarle in foiling board. Anche in questo caso difficoltà e doti fisiche richieste agli atleti aumentano in maniera esponenziale, con la crescita della velocità degli scafi.

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