Il Roma Boat Show 2015

Il Roma Boat Show 2015

Concluso il Roma Boat Show, tiriamo le somme

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13/10/2017 - 15:17

Prima di tutto un plauso per aver promosso comunque l’andare in barca, ma nel vedere, in questo 2015, quanto si sia ridotto il Salone di Roma, poi Big Blu, ora Roma Boat Show, ci si è stretto il cuore: da 16 padiglioni delle edizioni di  sette anni fa a uno solo dedicato alle barche, e con una panoramica del mercato nautico italiano così esigua da non stimolare probabilmente negli appassionati il desiderio di una ulteriore visita in futuro. Peraltro era una testimonianza non truccata, a portata del mondo politico, di come i nostri governi hanno ridotto un settore tra i più vitali del Paese.

 

Il settore della nautica, costruzioni e servizi, non era e non è costituito da grandi o medie industrie tenute in piedi col sostegno statale (che ne abbatte la capacità concorrenziale e ne mina il futuro), ma da migliaia di piccole aziende, spesso familiari, sana espressione di un’imprenditoria privata che dava lavoro, senza sostegno pubblico, a oltre 100.000 addetti, tra diretto e indotto. Dava, perché la preziosa realtà è stata distrutta e quelli che vi lavoravano sono andati ad arricchire le statistiche di disoccupazione e ritardo economico che brutalmente ogni giorno ci martellano da giornali, radio e televisioni. Quasi che la situazione di crisi fosse colpa degli ex-occupati e non dei partiti e loro eletti che si sono spartiti le entrate e risorse nazionali ed europee. Non accettiamo che si dica che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità dopo una vita di duro lavoro, a meno che non si voglia affermare che è obbligatorio vivere nella miseria. Il salone nautico di Roma, nato con tanto clamore e tante prospettive commerciali – non con un salto nel buio, ma, com’è noto, sul successo di precedenti manifestazioni a Roma, Fiumicino e Riva di Traiano -, ora non può più risollevare, come nelle speranze, le incerte sorti di una Fiera di Roma SpA ,  in difficoltà istituzionale già prima della crisi economica generale. La nuova sede all’estremità territoriale di Roma col comune di Fiumicino era rientrata, a suo tempo, nel pieno di massicce lottizzazioni e appalti decisi dell’amministrazione capitolina sui terreni fra Roma e il mare, tra i quali appunto doveva sorgere, sulla direttrice Roma-Fiumicino, il nuovo polo fieristico. Solo in Italia è possibile fare certe operazioni senza cacciare un soldo e infatti fu stabilito che dovesse essere la stessa Fiera, inaugurata nell’aprile 2006, a rimborsare il costo della costruzione. A questo handicap, già oneroso in tempi normali e difficilmente assolvibile nella situazione attuale, se ne sono aggiunti però altri derivanti dalla fretta capitolina, che voleva bruciare i tempi per esigenze elettorali ed evitare perciò le prevedibili lungaggini burocratiche. La costruzione della nuova Fiera infatti, era stata decisa come corollario di altre operazioni più interessanti per il mondo politico e ciò ha generato scelte che pesano ancora fortemente sul futuro economico della SpA. A suo tempo, è evidente, nel gioco delle aree ha perso la Fiera, le sue esigenze sono state sacrificate ad altre, come l’assurda mancanza di un collegamento metro o ferroviario (visto che la linea FFSS Roma-Aeroporto Da vinci passa a circa un chilometro di distanza). Anche il progetto della costruzione, sicuramente ambizioso, non è stato messo a punto con lungimiranza. La sua struttura portante non ha consentito porte di altezza adeguata per mostre che non siano della casa o della sposa, così quando si è scelto di organizzare un salone nautico, all’interno dei padiglioni sono entrate solo barche piccole o medio-piccole.

All’inizio la Fiera era raggiungibile solo in auto e per i parcheggi, gestiti dall’Atac, non c’era segnaletica sulla disponibilità nelle varie aree, con caos e multe a non finire che allontanavano i visitatori. Poi i dirigenti della Fiera di Roma hanno ottenuto la stazione ferroviaria ma il treno fermava solo per il Big Blu e la mostra dell’edilizia e comunque la distanza doveva essere percorsa a piedi o usufruendo di una navetta a spese della spa, non disponibile per manifestazioni minori. Oggi alla stazione della Fiera fermano tutti i convogli in transito-

Una terza difficoltà infine è rappresentata dall’incertezza politica capitolina che coinvolge nelle sue lotte di potere la stessa amministrazione, il CDA della Fiera di Roma spa. Con direttive e prospettive che mutano con i colori del sindaco, della Camera di Commercio e tutte le componenti espresse dal consiglio di amministrazione, con la spada di Damocle di un debito e tanti stipendi da pagare, con appetiti enormi sul destino dello spazio espositivo in città, è necessario che ci sia un progetto chiaro e sicuro per il futuro, che valorizzi gli importanti investimenti già effettuati e la Fiera non rimanga una cattedrale romana nel deserto. E’ ancora valida l’idea di un'unica struttura organizzativa con il Centro Congressi dell’Eur? Si vuole ancora creare il secondo polo turistico di Roma sul litorale? C’è ancora l’idea di una linea metro che passando per lo stadio dell’A.S. Roma, di prossima costruzione, arrivi fino alla Fiera e Fiumicino? Anche Fiera Roma, nel suo interesse, dovrebbe fare più comunicazione e magari prendere iniziative in comune con l’Autorità portuale di Civitavecchia (e del litorale laziale fino a Gaeta), che ha nei suoi programmi di rendere il Tevere navigabile e, come in passato, con la Camera di Commercio di Latina, l’unica ancora attiva nell’economia del mare. La nautica non è un toccasana, ma può generare numerosi posti di lavoro, ripetiamo “a costo zero” per l’ente pubblico, se si stimola l’interesse dell’iniziativa privata come hanno già fatto in Francia cinquanta anni fa e poi, su quel esempio, numerose altre nazioni mediterranee.

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