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La carena per tutti: il rapporto fra velocità e tecnologia

Didattica e tecnica

29/09/2017 - 18:49

La carena per tutti: riflessioni sul rapporto fra “velocità e tecnologia”

Velocità e tecnologia, un connubio inscindibile, che stimola i progettisti e i costruttori a ricercare e sviluppare in egual misura e di pari passo scafi, materiali e forme. Un rapporto che anche nella nautica è in continua evoluzione, un lavoro costante che dà come risultato performance sempre più rilevanti, spostando l’asticella dei record sempre più in alto, ma che ha poi importanti ricadute anche sulla produzione di barche in serie. Le riflessioni di Michele Ansaloni ruotano attorno a ciò che oggi, se parliamo di monoscafi, può essere considerata la tipologia di barca più all’avanguardia, che sfrutta la tecnologia ai massimi livelli, divenendo punta di diamante in termini di progettazione nautica: gli Imoca 60 che prendono parte alla Vendée Globe.

Velocità e tecnologia

Prendiamo ad esempio le barche della Vendée-Globe. Veloci e potenti sono un termine di paragone per la “marinità attiva”, cioè quella basata sulla velocità. Una barca ferma si dice “in balia delle onde”, ma lo è ugualmente la barca lenta rispetto al moto ondoso. Le onde non spostano acqua, ma danno vita a correnti orbitali che scendono dalla sommità al cavo. Le correnti orbitali da una parte spingono la barca verso il cavo diagonalmente e dall’altra diminuiscono l’efficacia del timone. Questi effetti, sommati a quello delle vele, la cui spinta, concentrata a destra o a sinistra del baricentro nave, genera sempre una rotazione, rendono molto difficile governare soprattutto quando la lunghezza della barca e quella dell’onda si sposano. Se invece la barca cammina veloce si verificherà una minore spinta all’anca,una velocità della corrente orbitale trascurabile e una maggiore efficienza del timone, che sarà così in grado di contrastare le vele. Il controllo attivo potrà avere successo.

Bernard Moitessier, Vito Dumas, Eric Tabarly e altri grandi navigatori del passato se ne accorsero e, dopo aver ridotto le difese passive, cioè ancore galleggianti e cavi a rimorchio, affrontarono feroci burrasche mantenendo le loro barche in “surf” il più possibile. Bisogna però rendersi conto di quanto le onde vadano veloci. Un’onda alta 6 m, non improbabile in oceano, ha una velocità minima di 12 nodi che, ovviamente, non è facile da mantenere o superare con una barca piccola. Mantenere il governo andando più forte dell’onda che insegue è la dote marina delle barche a vela veloci, fatte per planare: molto invelate, piatte come tavole, con la poppa larga che non affonda. Queste barche veloci, che hanno potuto raggiungere traguardi inimmaginabili – il bretone Armel Le Cleach’s ha recentemente concluso la Vendée Globe, la regata in solitario che compie il giro del mondo, sul suo monoscafo Imoca 60, Banque Populaire, in 74 giorni, 3 ore 35 minuti 46 secondi, quattro in meno del precedente primato - mostrano ottimi rapporti tra peso, superficie velica e superficie planante, raggiunti attraverso la tecnologia. In primo luogo le ha aiutate la tecnologia dei materiali (compositi): senza il carbonio, infatti, il titanio e le resine ad alta tenacità con cui sono stati costruiti scafi, coperte e accessori principali, i moderni record dei velieri sarebbero impensabili perché peso e velocità sono inversamente proporzionali.

Sono invece in proporzione diretta momento raddrizzante e superficie velica esposta. Per questo motivo sono stati introdotti diversi dispositivi tecnologici che hanno cambiato completamente l’andar per mare: l’albero e il sartiame in carbonio, le vele molto rigide e leggere e la chiglia basculante al posto di tanto equipaggio sopravvento. L’uso di quest’ultima comporta solitamente una o due derive per limitare lo scarroccio (canard) ed è proprio ottimizzando queste derive che nasce l’idea di trasformare la barca in un aliscafo, cioè usare la portanza delle derive non solo per mitigare lo scarroccio, ma altresì per “sollevare” la barca con i “baffi di Dalì” anche per contrastare lo sbandamento dovuto alla spinta delle vele. Ma non finisce qui e, poiché il momento raddrizzante della barca non basta mai, bisogna trovare un vento più forte e propizio che spinga tanto anche con il centro velico più basso delle vele terzarolate.

Questa ricerca sfrutta un'altra tecnologia: attraverso le previsioni meteo studiate dal “routier” – una volta l’uomo che scrutava il cielo, oggi un meteorologo, analista delle carte che guida via internet chi è al timone - diviene possibile non solo trovare la rotta più veloce, che non incappi in venti di prua o bonacce, ma anche avvicinare più o meno il centro della depressione per trovare quel vento che le polari (riassunto grafico delle prestazioni nave a seconda delle andature e della forza del vento) ci confermano come il più favorevole alla velocità. Per riassumere le barche plananti d’alto mare hanno goduto di:

  1. Scafi e alberi in carbonio.
  2. Vele e manovre tenacissime.
  3. Chiglie (di carbonio con siluro in piombo) basculanti e ballast.
  4. Analisi combinata delle polari e delle condizioni meteo per arrivare alla rotta più veloce.
  5. Trasformazione delle derive in vere e proprie ali per planare e contrastare la spinta laterale delle vele.

 

Michele Ansaloni

www.micheleansaloni.it

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