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La carena per tutti: riflessioni sulla "marinità" di una barca

Didattica e tecnica

29/09/2017 - 18:54

Alpini e massaie: qui si parla di carene!

La carena è quella parte della barca o della nave che durante la navigazione sta sotto il livello dell'acqua. Alle ultra-citate massaie di Voghera tale semplice ed efficace definizione, probabilmente, è più che sufficiente per avere una cognizione dell’argomento che viene trattato in questo articolo. E così sarà pure per gli “alpini” che hanno poca dimestichezza con l’andar per mare. Anche a loro, però, fosse solo per cultura personale, consigliamo di leggere comunque quanto scrive Michele Ansaloni in questo articolo. È il primo di una serie che affronta il tema di opera viva e linee d’acqua – per le signore di Voghera e i signori con la penna nera, sono altri modi di definire la carena ndr - dove il lettore viene portato per mano a saperne di più sul tema così specifico ma anche interessante. Un’analisi, quella fatta dall’Architetto e costruttore di barche, affrontata e snocciolata seguendo un percorso, un filo logico che ci accompagnerà nelle varie puntate, esposto utilizzando semplicità e chiarezza.

Si parte oggi dalla “marinità”, un termine raro nel gergo comune che, sempre stando alla definizione del vocabolario, indica ciò che ha attinenza col mare, come il clima o un paesaggio. Una parola che invece nell’idioma nautico, quando si parla di carene, acquisisce diffusione e senso per indicare la qualità di quella parte immersa della barca che in virtù della sua forma, del suo disegno, la rende una sorta di “pesce nell’acqua”, in grado di affrontare con sicurezza e comfort anche il mare mosso.

Alla marinità seguiranno altri tre articoli: velocità e tecnologia; le carene di tradizione; il diporto.

 

La marinità dello scafo

Le carene sono state forgiate dalle idee e dalle competenze dei costruttori. Sotto questo profilo è emblematica la storia del Vasa, una nave da guerra svedese che appena varata, il 10 agosto 1628, affondò nel porto sotto una raffica di vento. I costruttori del Vasa pensarono alla potenza di fuoco, a mettere cioè quanti più cannoni possibili sulla nave e trascurarono, colpevolmente direi, tutti gli altri aspetti della architettura navale.

Per valutare una nave, barca o yacht, è importante capire queste idee e competenze: il rapporto tra forme e funzioni, le prevedibili condizioni affrontabili, le tradizioni, i metodi costruttivi, la tecnologia, le norme e la stazza, i desiderata dell’armatore, l’economia della costruzione, il mercato ecc. Per non fare la fine del Vasa, pur avendo peso tutte queste variabili, bisogna mettere il concetto di marinità in cima alla lista degli elementi di valutazione.

Ora purtroppo il concetto di marinità è piuttosto elusivo e per afferrarlo bisogna enucleare la dote principale della marinità. La barca buona (quindi la buona carena) promette una cosa importante: quella di prendersi cura del suo equipaggio. Quando le cose dovessero andare male, la buona barca rimarrà a galla e il suo equipaggio si salverà.

Può sembrare quest’ultima una convinzione semplicistica o un pregiudizio, tuttavia è successo molte volte che la barca abbandonata come non sicura durante la tempesta, si sia salvata lasciando l’equipaggio a una sorte peggiore. Cosa può essere che fa preferire una piccola zattera o un salvataggio pericoloso al rimanere sullo scafo che ci ha portato fino lì? La paura, il terrore paralizzante generato dalle forze della natura scatenate e incuranti del nostro destino. Così la capacità della barca di cavarsela da sola, a prescindere dall’equipaggio, diventa la più importante qualità.

Il mare dispone di un’energia illimitata e può distruggere qualsiasi cosa gli si opponga, come dimostrano i tanti disastri marittimi. Per fortuna la barca, come ogni guscio di noce, ha la possibilità di salvarsi scappando, cedendo al mare. Sintetizzando, la barca marina (perfetta) dispone di un mix di abilità che le consentono di opporsi a mare e vento, finché può governare, e di cedere agli elementi quando il governo diventa impossibile.

Superare il punto di governabilità per controllare la marinità della barca è pericoloso e poco auspicabile. Se una barca grossa governa (cioè si dirige nella direzione voluta) in condizioni impossibili per una barca più piccola, allora la grandezza diventa - non sempre a ragione- l’attributo fondamentale della marinità.

Misurano in un qualche modo la grandezza minima sia “Ocean Passages for the world” che dice che in oceano la nave a vela deve poter trarre vantaggio dal brutto tempo, sia la legge italiana che consente i viaggi internazionali alle sole navi superiori alle 25 GT (GT sta per Gross Tonnage, unità con la quale si misura la stazza di una nave ndr).

In breve con la nave, barca o yacht, inferiore ai 15/18 m è meglio non affrontare il peggio.

 

Michele Ansaloni

www.micheleansaloni.it

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