Barche all'ormeggio

Barche all'ormeggio

Che cosa uccide la nautica? L'opinione del professionista

Editoriale

07/06/2019 - 12:24

Dopo le distruzioni e i lutti della Seconda guerra mondiale, negli anni 50 del secolo scorso molti diportisti si sono dedicati alla vela e altri scoprirono la facilità di andare in mare anche con una barca a motore, settore ampiamente sviluppatosi per esigenze belliche anche grazie ai fuoribordo e ai mezzi veloci d’azione di commando e ranger. Favorevole anche il retaggio di simpatia suscitata nel mondo anglosassone, ma anche in Francia, dal salvataggio operato in parte da unità della nautica di ogni dimensione dell’esercito inglese e reparti francesi a Dunkerque, si realizzò un favoloso sviluppo della vela, prima in Gran Bretagna e poi in Francia, con la nascita di centinaia di classi monotipo che in Italia ci hanno appena sfiorato, mentre gli importatori milanesi ci facevano conoscere i motori fuoribordo che tuttora sono la punta di diamante della nautica a motore.

Le barche e i gommoni motorizzati fuoribordo sono i più venduti. Il Corriere della Sera dedicò all’argomento addirittura una pagina settimanale e le imprese dei velisti attorno al mondo ottennero il prestigio delle prime trasmissioni televisive. Infatti, ancora oggi si parla di quei tempi a cavallo fra gli anni ’50 e ’60, come quelli del boom della nautica. Poi sono nati altri richiami, altri impieghi del tempo libero di massa, si è inserita negativamente la politica, e infine, più recentemente, la crisi economica mondiale generata dalla speculazione finanziaria Usa, hanno portato la passione dell’andar per mare ad affievolirsi.

La cantieristica e l’assistenza che avevano assorbito la tradizione e il lavoro della gloriosa tradizione velica delle marinerie italiane, divenendo il fulcro della nautica mediterranea, hanno consentito ai costruttori italiani di essere ancora oggi i secondi al mondo nella costruzione di unità da diporto, primi però in quello specifico dei grandi yacht oltre i 24 metri di lunghezza. Ora pur restando di vertice non riescono però a scrollarsi di dosso le difficoltà che rallentano soprattutto il mercato interno.

Che la nautica sia in sofferenza appare chiaro dal fatto che si vendono meno barche nuove, che quelle usate hanno prezzi sempre più bassi, che diversi cantieri sono cambiati di proprietà o hanno chiuso, che qualche cantiere di manutenzione sopravvive a fatica, senza dimenticare poi i tanti ormeggi vuoti nei porti turistici.

Quali sono le cause di tutto ciò?

Vivo la nautica, come perito e consulente operativo dal 1974 e mi sono fatto delle opinioni, discutibili, forse, ma chiare, che riguardano le cause prime delle lunga crisi attuale.

1) La crisi economica, che non accenna a passare, ambiando anche culturalmente gli appassionati ma un po’ tutta la gente.

2) Il fatto che la nautica, in Italia, è un passatempo tutto sommato recente e non molto diffuso, dunque di nicchia rispetto ad altri, specie di quelli che godono di molta promozione commerciale. Oltre tutto non ha un’univoca rappresentanza professionale e anche di utenza.

 3) La regolare ostilità di molti governanti, che vedono nei proprietari di barche solo dei ricchi evasori o sfruttatori dei lavoratori. Non dimentichiamo i manifesti fuori del Salone di Genova di qualche anno fa, che riportavano a grandi lettere la scritta. "Anche i ricchi piangano". Chi li ha ideati non ha pensato che i ricchi, quelli veri, non piangono: possono portare la loro ricchezza all'estero quando vogliono e i lavoratori qua piangono. Già, perché i poveri, senza i ricchi, rischiano di restare senza lavoro. E mai il contrario.

4) Regolamenti complicati, minuziosi e capillari, per gestire anche i piccoli cantieri artigianali di manutenzione, che controllati dove troppo e dove per nulla, risultano costosissimi da applicare per chi già ha poco lavoro. Per non parlare delle multe che sembrano fatte solo per far cassa. Il risultato è che viene colpito il lavoro artigianale, con la logica conseguenza che i dipendenti vengono ridotti di numero, con ciò che ne segue.

5) Qualcuno segnala lamentele dei diportisti per le continue attività di controllo in mare da parte delle diverse autorità preposte. Personalmente non credo molto alla sincerità di queste proteste, esco in mare tutto l'anno per lavoro e i controlli non sono più asfissianti. Visto che faccio sempre il possibile per essere in regola con la condotta della navigazione (conoscendone il codice) e che anche per sicurezza mia e di chi ospito in barca tengo sempre aggiornate le dotazioni e tutto ciò che ha a che fare con la salvaguardia della vita in mare, io preferisco essere fermato, anche per più controlli. Se le altrui coscienze sono pulite, perché si dolgono?

6) Tasse: logica quella di proprietà che sostituisce la precedente di stazionamento, per cui tanti avevano preferito portare la barca all'estero, spendendo poi molto di più in viaggi per andare a controllarla, anche sperando che non fosse stata abbandonata in mani incompetenti. In realtà troppe volte è risultata poi abbandonata per mesi e mesi, senza manutenzione.

7) I prezzi degli ormaggi nei porti turistici, così diversi da porto a porto come i servizi offerti. Strutture difficili da gestire per la mancanza per tanti decenni di una legge nazionale (solo circolari ministeriali) e di una chiara politica governativa, sono lasciate in balia di pretese e capricci di poteri regionali e locali, che li considerano non bene pubblico ma di proprietà locale.

8) La tollerata presenza dei cosiddetti marinai di banchina, pratici che si proclamano periti, di fatto abusivi del brokeraggio, che tolgono molto lavoro ai broker, pubblici mediatori abilitati ed iscritti come dovuto nei relativi albi.

9) I broker che fanno anche perizie, con il rischio evidente di far entrare in conflitto perizia e vendita di una barca.

10) I prezzi molto bassi di tante barche usate offerte in vendita, che hanno invogliato gli stranieri a venire in Italia a comprare quelle in migliori condizioni. E quando una barca italiana d'occasione viene portata all'estero, è perduta per i nostri cantieri di riparazione, per i meccanici, i velai, i broker e i periti e per tanti altri. Insomma, per tutto il nostro settore.

11) La speculazione delle dotazioni di sicurezza e delle patenti suggerisce, di quando in quando, a qualche sprovveduto parlamentare di chiedere l’obbligo dell'immatricolazione anche per i natanti, finora esenti. Le statistiche in merito ci indicano che almeno al momento non è un provvedimento necessario. Avrebbe solo un risultato sicuro: ammazzare un bel po' di settori produttivi. Sempre nel nome della sicurezza, bisognerebbe forse omologare e immatricolare sci, slittini, tutti i veicoli velocissimi dunque pericolosi, pure gli skateboard? Anche la cera da pavimenti può essere causa di cadute, come pure camminare con scarpe dalla suola di cuoio su pavimenti di marmo e scalini bagnati…

Obblighiamo allora gli sprovveduti all'uso di scarpe con la suola di gomma? Omologata, naturalmente! Finalmente gli organi ispettivi preposti avrebbero più lavoro e la nostra salute e sicurezza sarebbero sempre più tutelate. Vi sembra assurdo? Credete stia scherzando? Parlate con qualche titolare di cantiere di assistenza alle barche e fatevi dire a quanto ammontano le multe se un disinfettante della cassetta di pronta soccorso è scaduto oppure se si trova un eccesso di carico di fuoco in cantiere (un mucchietto di segatura) e via dicendo. Chiedetemi anche se gli organi preposti accertano o meno che le aziende effettuino i lavori d’intervento nel rispetto dei numerosi regolamenti vigenti, cioè come dovuto. Ma proprio in tutti i cantieri, dunque con un uguale trattamento per tutti? O qualche cantiere non viene mai visitato? E perché?

L'argomento, anche se così doloroso per chi lavora nel settore della nautica, continua su un prossimo articolo.

Arch. Gino Ciriaci                                                                       

 

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