La ricerca e lo sviluppo delle forme della carena

La ricerca e lo sviluppo delle forme della carena

La ricerca e lo sviluppo delle forme della carena - parte 2

Didattica e tecnica

29/09/2017 - 19:16

Nella prima parte è stata definita la resistenza di attrito in questa proseguiamo con la resistenza d’onda.

La resistenza residua o d’onda delle carene dislocanti RR è

 \(R_{R}=C_{R}\cdot {\frac{1}{2}}\cdot ρ\cdot S_{C}\cdot V^{2}\)                     

          

CR = coefficiente di resistenza d’onda

 

 

ρ   = densità dell’acqua di mare

 

 

S = superficie bagnata della carena

 

   

V   = velocità della nave


La ricerca e lo sviluppo delle forme della carena - parte 2
La ricerca e lo sviluppo delle forme della carena - parte 2

Come si evince dalla  Figura 6 , grafico delle carene sistematiche di Taylor, il coefficiente di resistenza d’onda CR è funzione del numero di Froude

 \(F_{n}= \sqrt{\frac{V}{g\cdot L_{WL} } }\)                  

 

V   =  velocità della nave

 

 

g   = accelerazione di gravità

 

 

LWL = lunghezza al galleggiamento

della nave

Il numero di Froude è il parametro che esprime le condizioni di “similitudine dinamica” per sistemi di flusso soggetti a sole forze di gravità. In particolare, definisce la velocità per la quale modelli e navi geometricamente simili sviluppano sistemi d’onda anch’essi geometricamente simili.

E’ forse un linguaggio difficile ai più, ma necessario per spiegare, anche se sommariamente, che la resistenza di attrito di una carena aumenta rapidamente con l’aumentare della velocità, mentre la resistenza d’onda o residua diminuisce, a parità di velocità, con l’aumentare della lunghezza al galleggiamento, cioè della lunghezza misurata sulla linea che il livello dell’acqua traccia sulla carena e separa la parte immersa da quella emersa. In parole povere, più si accresce la velocità più aumentano le resistenze al suo avanzamento, più è lunga l’imbarcazione maggiore è la sua velocità di navigazione.

La resistenza residua RR, in cui è inclusa la resistenza di forma, di uno scafo planante, prima che questi raggiunga la velocità di planata, possiede le stesse caratteristiche generali della resistenza residua di un normale scafo dislocante e che molte di quelle caratteristiche di forma di scafo che sono favorevoli al fenomeno della planata agiscono negativamente sulla resistenza residua prima che detta planata avvenga. Infatti
a)    la larghezza, benefica alla portanza, è nociva alla resistenza residua alle basse velocità;
b)    la poppa larga, benefica per la planata, è nociva alla resistenza residua perché causa turbolenza;
c)    l’angolo di rialzo del fondo \(\beta\)  che deve assumere valori piccoli per una buona planata e che al contrario dovrebbe essere aumentato nei riguardi della resistenza residua per conseguire forme di scafo snelle, oltre che per ottenere un buon comportamento in mare, in modo particolare quando è mosso.
La resistenza residua di una carena in planata è 

 \(R_{R}=L\cdot \tan \tau\)                     

          

L  = portanza

 

 

\(\tau\)  = angolo di assetto in corsa

Colui che deve progettare una nuova nave o megayacht, quindi, si trova anzitutto di fronte al problema delle conseguenze che avranno sulla potenza le possibili scelte della forma della carena e delle sue proporzioni. Generalmente il problema è così formulato: ricercare per il dislocamento voluto (cioè per quanto volume e relativo peso si vuol trasportare) e per la velocità o le velocità desiderate, le forme e le proporzioni di carena che porteranno, fatte salve le indispensabili condizioni di stabilità, al minor consumo di potenza.

1)    Il criterio ponderale;
2)    Il criterio volumetrico;
3)    Il criterio per imposte limitazioni dimensionali (che potranno essere di volta in volta, secondo le esigenze di particolari necessità, la larghezza, la lunghezza o l’immersione).

Il criterio ponderale è eseguito quando il dislocamento della nave è imposto dai carichi di elevato peso specifico, più il peso dello scafo e dell’apparato motore. In questo caso la carena dovrà avere tanto volume da contenere il peso complessivo sopra elencato. Ci troveremo, perciò, di fronte ad una nave con un’immersione pronunciata e quindi con un elevato volume di carena, ricordando che la carena è la parte immersa della nave.

Il criterio volumetrico è seguito quando la nave deve trasportare carichi ingombranti, ma di peso specifico non elevato. In questo caso, assicurata la necessaria stabilità metacentrica, sarà possibile trasportare buona parte di questo carico voluminoso in spazi al disopra della linea di galleggiamento; quindi, gran parte del volume utile della nave sarà sopra al galleggiamento e alla carena sarà assegnato quel volume sufficiente a sopportare il peso totale.

Comunque il problema, nella sua formulazione più generale, sarà quello di far viaggiare un certo dislocamento a una certa velocità, realizzando o una carena di minima lunghezza possibile o di minima potenza.

Il primo caso, che interessa gli armatori, ha vantaggi nei costi di costruzione, nave più corta però con un peggiore comportamento in mare mosso, certamente più costosa nell’esercizio, poiché l’apparato richiede maggiore potenza per raggiungere la stessa velocità di un’imbarcazione più lunga.

Il secondo caso, che interessa l’architetto navale (cioè il progettista specializzato nello studio della statica e dinamica della carena), delle volte è un po’ più dispendioso nella costruzione, per la maggiore lunghezza, ma sensibilmente meno caro nell’esercizio e con una migliore tenuta al mare.

Il terzo caso, interessa l’armatore che deve far viaggiare la nave o il megayacht in bassi fondali o passaggi in zone che vincolano la larghezza, o vincoli particolari che condizionano la lunghezza. Questo terzo caso potrebbe interessare anche coloro che, avendo venduto un volume a un armatore e stipulato il relativo contratto, vincolano le dimensioni principali e quindi condizionano i coefficienti idrodinamici della carena. Quest’ultimo caso, delle volte, diventa quello peggiore per l’architetto navale, poiché il compromesso nella scelta dei coefficienti idrodinamici non sarà ottimale.


La ricerca e lo sviluppo delle forme della carena - parte 2
La ricerca e lo sviluppo delle forme della carena - parte 2

Se la velocità diventa il dato primario del progetto, cioè si ha un numero di Froude \(F_{n}> 0,6\) o un quoziente di Taylor \(R_{q}=V/\sqrt{L_{WL}}>2\), si devono  prendere in considerazione le forme di carena a spigolo che permettono di avere una spinta dinamica e raggiungere elevate velocità (Figura 7).

 

 

 

 

   LEGENDA

 

C= Coefficiente di resistenza d’onda     

                        

   

 F= Numero di Froude

 \(=V/\sqrt{g\cdot L_{WL}}\)  

 g  = Accelerazione di gravità

 

 

 L  = Portanza 

   

 

\(L_{WL}\) = Lunghezza al galleggiamento

   

 

\(R_{R}\) = Resistenza residua o d’onda

   \(= C_{R} \cdot0,5\cdot ρ \cdot S_{C}\cdot V^2\)

   per carene dislocanti  

 

   \(= L \cdot \tan \tau\)

   per carene plananti

SC= Superficie bagnata della carena

 

 

T= Quoziente di Taylor

  \(=V/\sqrt{ L_{WL}}\)

 

V= Velocità dello scafo

  

 

ρ = Densità dell’acqua di mare

 

 

\(\tau\) = Angolo di assetto in corsa

 

 

 \(\imath\) = Coefficiente di viscosità cinematica

 

 

Quando una forma di carena condiziona il comportamento di una nave in mare? Nella parte successiva dell’articolo si parlerà delle carene tonde e plananti.

Angelo Sinisi

PREVIOS POST
Grand Soleil 58 Performance: prova in mare del gioiello Made in Italy
NEXT POST
La ricerca e lo sviluppo delle forme della carena - parte 1