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Quale energia in barca? L'analisi di Alfredo Gennaro

Didattica e tecnica

13/10/2017 - 20:35

Quale energia a bordo?

Negli oltre due milioni di anni della sua esistenza, solo negli ultimi duecento anni l’uomo ha imparato a produrre energia: è come se nella lunga giornata della storia siano stati solo gli ultimi dieci secondi a fornirci mezzi diversi dalle forze animali, uomo compreso, e dalla vela. Il primo uomo terricolo dal centro dell’Africa ha cercato di esplorare, ha seguito l’acqua dei fiumi verso il mare e poi ha tentato di attraversarlo utilizzando la forza delle proprie braccia, sfruttando le correnti, issando una vela, poi due, poi tante, per arrivare all’epoca dei clipper, che riuscivano a tenere medie di 17 nodi per portare in Inghilterra il te dall’India o la lana dall’Australia.

Poi, il motore! Prima quello a combustione esterna, per intenderci la caldaia per ottenere il vapore che alimenta gli stantuffi o, più recentemente, le turbine; poi il motore a combustione interna a benzina o diesel, a due o a quattro tempi, che ancora oggi, e forse ancora per molto tempo, spingerà le nostre imbarcazioni.

Perché in mare non è possibile produrre energie, e tutte quelle che occorre consumare bisogna trovarle sul posto o portarcele appresso.

Il vento lo troviamo sul posto, ed è stato, in questo nostro lungo giorno di due milioni di anni, senz’altro il protagonista di gran lunga più importante della propulsione marina. Abbiamo imparato a stringere la bolina e a raggiungere velocità della barca superiori a quella del vento che la spinge: ma quando il vento non c’è, abbiamo finito di navigare.

Sul posto possiamo anche trovare il sole, ovviamente quando c’è, e solo di giorno, ma l’energia che riusciamo a ricavare dal sole è troppo piccola rispetto a quella necessaria per muoversi. Tanto per fare un esempio allo stato attuale il fotovoltaico è capace di fornirci un cavallo per ogni 7-8 metri quadri di superficie esposta. Per un piccolo motorino da quattro cavalli ci vorrebbe una superficie disponibile di una trentina di metri quadrati. Se occupassimo tutta la superficie di una barca di 7 metri potremmo al massimo ottenere una diecina di metri quadrati: pensate ad una barca da 7 metri spinta da un motore da 1 CV. Certo si può fare, ma non è proponibile.

E allora l’energia dobbiamo caricarla a bordo e portarcela appresso in mare: che poi è quello che facevano i greci ed i romani quando imbarcavano gli schiavi e li costringevano a remare, sfruttando l’unica energia animale che può essere usata a bordo. A terra c’erano i buoi, i cammelli, e soprattutto i cavalli, che poi hanno dato anche il nome alla unità di potenza: ma cosa avrebbero fatto i cavalli a bordo ai fini della propulsione?

Infine il motore, che sfrutta l’energia che gli forniamo, sotto forma di legna o di carbone per la caldaia, e sotto forma di carburante per i motori endotermici. Assodato dunque che l’energia ce la dobbiamo portare appresso, occorre scegliere i “contenitori” di energia nella varie forme.

L’energia meccanica non è trasportabile se non attraverso le molle o i volani, che Leonardo aveva immaginato di usare a terra ma che è impensabile impiegare in mare: non restano che l’energia termica e l’energia elettrica.

L’energia elettrica può solo essere immagazzinata in batterie, mentre l’energia termica può avvalersi di diversi “contenitori”, liquidi, solidi o gassosi. Ora se ci mettiamo a fare un poco di conti sul potere calorifico, saremo obbligati a prendere atto che i combustibili liquidi (sia allo stato naturale, come benzina o gasolio, sia allo stato compresso, come il GPL, quello che usiamo in bombole per cucinare) sono i vettori di energia di maggiore capacità a parità di peso o di volume, tenendo conto della semplicità e la sicurezza con la quale vengono distribuiti, trasportati e stivati a bordo, in serbatoi che nel caso più semplice costano qualche diecina di euro e durano una eternità.

Un serbatoio di plastica da 25 litri, come quello che ci portiamo appresso per il nostro fuoribordo, contiene una quantità di energia corrispondente a quella di 60 batterie di automobile: non è quindi pensabile l’uso delle batterie, che oltretutto costano e dopo una diecina di anni vanno sostituite.

E allora dobbiamo rassegnarci al motore termico, benzina o diesel che sia, anche se dovremo pagare un alto costo nella efficienza: perché se bruciamo un litro di benzina otteniamo circa 8000 calorie e ci aspetteremmo di ricavarne il lavoro corrispondente.

Invece no: perché con un litro di benzina posso camminare per un’ora con un motore da quattro cavalli, ottenendo quindi il lavoro di circa 3 chilowattora. Ma se alimento una resistenza elettrica con questi 3 chilowattora ottengo solamente 2500 calorie

Come si spiega? Con la non reversibilità equivalente dei passaggi tra livelli energetici. Per passare da energia elettrica ad energia termica, vedi calorie (la forma più degradata di energia), non perdo niente, mentre se voglio passare da energia termica (calorie) ad energia meccanica (CVh) devo rassegnarmi a ricavarne solo il 25 o il 30 per cento. Per avere un esempio “visibile” di quello che succede, prendete una bottiglia con un litro di benzina e vuotatene il contenuto in una larga padella per darle fuoco; non ne perderete una goccia. Poi invece cambiate idea e cercate di rimettere nella bottiglia la benzina versandocela dalla padella. Siccome in natura non esistono imbuti, con tutta l’attenzione che potrete metterci, alla fine dell’operazione è molta di più la benzina che avrete perduto che quella che siete riusciti a travasare nella bottiglia.

Questi travasi prendono il nome scientifico di “leggi della termodinamica”, e regolano in campo energetico i fenomeni irreversibili.

Alfredo Gennaro

 

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